Non sono passati neanche 15 giorni dai miei “4 giorni tra i monti” nei quali sono riuscito a scalare Aprica, Gavia, Tonale e Mortirolo.
E’ metà settimana, agosto volge al termine e le giornate scorrono un po’ tutte uguali tra lavoro e pedalate solitarie in una Milano deserta, nell’attesa di un’estate che in città non è mai arrivata.
E’ una settimana nella quale le gambe mi fanno tremendamente male, forse ho esagerato con la bici. Il telefono mi avvisa di un messaggio, è Andrea di @Alpenround che mi scrive qualcosa del tipo “Sabato scalata del Mortirolo. Vieni?“.
Le gambe mi gridano “Di di no“, ma il mio sguardo è già perso tra le nuvole che vedo di sfuggita dalla finestra dell’ufficio. Ci aggiorneremo, anche in base al meteo.
E’ sabato mattina. Scruto il cielo incerto e grigio, ma alla fine decido, come spesso mi accade, di seguire l’istinto e non la ragione. Scrivo ad Andrea “Ci vediamo alle 15.30 a Mazzo di Valtellina“.
Mi metto in marcia verso le 11 e poco prima di mezzogiorno sono in Stazione Centrale. 2 ore e 30′ più tardi sono a Tirano, da dove imbocco il sentiero Valtellina che, in 10 km, mi conduce sino a Mazzo.
Pochi minuti ed ecco comparire Andrea, accompagnato da moglie e figlie che fungono da ammiraglia, fotografe, supporters e quantaltro; e Marco, amico di Andrea.
Nel cielo splende un sole caldo, ma nuvoloni minacciosi non fanno presagire nulla di buono.
Tempo di prepararci ed ecco che cominciano a scendere goccioloni di pioggia che si dilatano sull’asfalto e sulla pelle. Noi ci avviamo lo stesso. Marco ci saluta dopo pochi metri: ha un altro passo ed è giusto che salga col suo ritmo. Io e Andrea ci troviamo fianco a fianco e iniziamo il nostro “divertimento verticale” lungo 33 tornanti, 12 km, 1300 m di dislivello. Di tanto in tanto, quando il fiato lo permette, riusciamo a scambiare qualche pensiero, ma sono per lo più monosillabi o sguardi di complicità e intesa.
A volte il silenzio si fa quasi imbarazzante. Mi viene da sorridere perchè penso a quando capita in un appuntamento con una ragazza e allora ti riduci a scrutare il cellulare, la finestra, la gente… In cerca di qualcosa di interessante da dire per rompere quel silenzio assordante e non incrociare il suo sguardo.
Noi semplicemente non abbiamo fiato per parlare, ma nonostante ciò non smettiamo di arrampicarci su quelle montagne russe fatte d’asfalto e fatica.
Rivivo la mia esperienza di quindici giorni prima e ancora una volta mi stupisco nel ritrovarmi lì, per la seconda volta in pochi giorni, su quelle pendenze assurde, quando fino a qualche anno fa, se solo me lo avessero detto, lo avrei ritenuto semplicemente impossibile.
Invece eccoci lì, a sudare e respirare pesante.
Con Andrea mi trovo a mio agio: saliamo con lo stesso passo, fianco a fianco come due scudieri e, quando uno dei due accusa il colpo, l’altro rallenta un poco. Sorpassiamo le figlie di Andrea che, giustamente, incitano il padre intento nella sua personale impresa.
Man mano che saliamo, l’asfalto perde il suo mordente e allora riusciamo anche a conversare.
Ai 300 metri sorridiamo e la festa ha inizio. Andrea mi guarda: “Vuoi fare la volata?” – “Ah, non la stavamo facendo da inizio salita?“. Ridiamo.
Marco è lì che ci aspetta già da un po’. Dal cielo nel frattempo si intravede un sole a sprazzi, mentre dei tuoni rumoreggiano sempre più vicini.
Dopo le foto e i sorrisi, è tempo di gettarsi in discesa, proprio mentre ricomincia a piovere. Ci fermiamo prima al monumento per Pantani (tornante 11) e poi a chiacchierare con un cicloturista.
Il mio treno però riparte alle 19,15 e così, con rammarico, devo salutare tutti e andare per la mia strada.
Completata la discesa, mentre spiove, uno splendido arcobaleno Valtellinese mi saluta.
Il treno si mette in marcia. Infreddolito mi perdo nel sedile, cercando di stringermi in me stesso. Dal finestrino guardo le luci riflesse nel lago.
Giungo in Stazione Centrale alle 21.45 e prendo la metropolitana che mi conduce sino ad Assago, dove arrivo alle 22.30. Gli ultimi 10km sui pedali sono immersi nel buio e nel silenzio della ciclabile Milano – Pavia. L’unica luce è quella del mio faro, davanti al quale, di tanto in tanto, vedo correre lepri e conigli.
Arrivo a casa alle 23, stanco e felice. Le gambe gridano ancora “Di di no“, il cuore sussurra “Grazie di aver detto si“.