Ho ancora nel cuore la sfida epica a colpi di scatti tra Pantani e Tonkov del 1998. Ricordo ancora quanto sobbalzai sul divano di casa. Più recente, ma non meno emozionante, l’impresa di Aru del 2014. Anche quella volta saltai sul divano, che nel frattempo era cambiato: nel 1998 era quello di casa dei miei genitori, nel 2014 era quello di casa mia. Una cosa che invece è rimasta uguale in tutto questo tempo è il teatro dove queste imprese sono andate in scena: il Plan di Montecampione che per me è emozionante leggenda.
Studio un possibile itinerario, decidendo di ripercorrere il giro del lago d’Iseo, già fatto nel 2013 aggiungendo la scalata ai 1750m della mitica vetta.
Come allora fisso Sarnico come punto di partenza e, ignorando il mio stesso consiglio scritto allora, costeggio ancora il lago in senso antiorario. Sono già oltre Iseo quando me ne ricordo… Ormai è tardi. A Vello imbocco la bellissima ciclabile scavata nella roccia che conduce a Toline. Giunto a Pisogne però, abbandono le sponde del lago per dirigermi verso Gratacasolo prima e Pian Camuno poi, dove inizia la salita.
Sin da subito le pendenze si fanno sentire e si prende quota in fretta. Il lago d’Iseo si vede appena, ma noto subito come si sia fatto presto distante. 14 tornanti numerati scandiscono la prima metà dell’ascesa con pendenze costanti che variano dal 7 al 9%.
Non fa troppo caldo fortunatamente e la strada è parecchio ombreggiata. A risentirne è la vista, che non può mai spaziare su alcun panorama. A distrarmi sono però le tante scritte e disegni dedicati a Hinault, Pantani e al Giro. Una mi fa sorridore: “Alla mia donna dirò che l’ho fatto per dovere“.
Alpiaz segna la fine della prima parte di fatiche: 10km di ascesa se ne sono ormai andati insieme ai 14 famigerati tornanti e dai 240m di Pian Camuno, ci si ritrova ai 1105m. Quasi 100m guadagnati al km. Non male. Ne restano 650 da scalare e altri 10km di ascesa, in previsione dei quali ne approfitto per una breve pausa barretta e ricaricare la borraccia ormai vuota.
Fino al 13° km la salita non è affatto impegnativa, ma nei restanti 7km le pendenze medie oscillano costantemente tra l’8,3km e il 9,2%. Sarà la voglia di arrivare lassù, sarà la distanza dalla vetta che si assottiglia, ma personalmente ho trovato decisamente più impegnativa la prima parte di percorso.
Ad attirare la mia attenzione oltre alle scritte, sono le condizioni dell’asfalto: essendoci passato il Giro d’Italia recentemente mi aspettavo un manto in ottime condizioni. Invece, nella seconda parte di ascesa, è un autentico colabrodo, soprattutto in corrispondenza delle gallerie paravalanghe. Buche, terriccio, rattoppi vari sono praticamente una costante.
All’arrivo in vetta finalmente si ha la possibilità di spaziare con lo sguardo per la prima e unica volta sulla vallata. Non particolarmente attraente è invece il luogo dove viene posto l’arrivo del Giro abitualmente: una spianata di cemento destinata a parcheggio per la stagione invernale. Deserta nell’occasione. Chiudo gli occhi a quella visione poco stimolante e salgo ancora per un paio di rampe in cerca del cartello per la foto di rito. Mi immagino gli applausi del pubblico, al posto dei quali però sento i campanacci della mandria di vacche che pascola poco distante. La strada nel frattempo finisce su una rotonda che obbliga a tornare indietro. Del cartello neanche l’ombra. Sono deluso: dalla tv, forse tradito dalle emozioni, ho sempre visto un posto da favola. Mi rendo conto come forse la favola che leggevo era quella scritta sull’asfalto con la ruota della bicicletta e fissata indelebilmente col sudore della fronte. Restano proprio quelle emozioni a farmi battere il cuore, prima di gettarmi in discesa.
La discesa, obbligatoriamente sulla medesima strada, non è priva di avversità. Prendendo spunto dalla stazione sciistica mi destreggio in una sorta di slalom speciale tra le buche. Non riesco ad evitarne un paio e le parole che proferisco non sono molto edificanti. Fortunatamente nella seconda parte di discesa le condizioni sono nettamente migliori.
Mi riporto così sulle sponde del lago, raggiungo la bella Lovere e tramite il fantastico tratto di strada della SP469 incastonato nella roccia, mi dirigo verso il punto di partenza. A ostacolare la mia marcia c’è il vento. Contrario. Fortunatamente però la montagna fa da scudo e l’aria non è troppo fastidiosa se non nell’ultima manciata di km.
Km che alla fine sono 113 e che si fanno sentire nelle gambe, nonostante il giro del lago non presenti difficoltà: solo qualche facile saliscendi.
Sono comunque contento perchè, nonostante la scalata non sia stata come me la immaginavo, i ricordi e le emozioni vissute in tv si sono fatte vive su quella lingua d’asfalto. E se una donna mai me lo chiederà…. Le dirò che l’ho fatto solo per passione!
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