DISTANZA: 624Km |
DISLIVELLO: 12224m D+ |
PARTENZA / ARRIVO: Castano Primo (MI) Percorso ad anello. Vedi mappa percorso |
SALITE AFFRONTATE: – Sella Banchette (706m) – Valico di Bielmonte (1514m) – Alpe Noveis (1110m) – Sella di San Bernardo (860m) – Passo della Colma (942m) – Mottarone (1455m) – Piancavallo (Alpe Segletta) (1254m) – Pian di Sale (960m) – Alpe Neggia (1395m) – Cademario (825m) – Piano delle Noci – Lanzo d’Intelvi (883m) – Alpe del Tedesco (785m) – Sette Termini (922m) – Cuvignone (1036m) |
DIFFICOLTA’: |
PANORAMA: |
DESCRIZIONE:
Le Super Randonnée sono dei brevetti permanenti, su percorsi definiti, che il randonneur prova a portare a termine nel limite di 60 ore, attestando il proprio passaggio nei punti di controllo con traccia, foto e appuntando l’orario. Hanno una distanza di almeno 600Km e un dislivello positivo di almeno 10.000m. Salite quindi, tante. La Super Randonnée Prealpina è una creatura di Fulvio Gambaro, Ciclofachiro, amico da anni. Seppure l’esperienza mi abbia ormai insegnato a non fidarmi di lui, perché riesce sempre a sorprenderti con “la salita che non ti aspetti”, so anche che in materia è un mentore, una garanzia e, per la prima esperienza in una cosa del genere, non potrei affidarmi a persona migliore.
Fatte le debite premesse, la domanda sorge spontanea: cosa spinge a misurarsi in questa follia? Non credo esista una risposta logica. Nel mio caso, ad affascinarmi è il mio incedere solitario, salita dopo salita, la voglia di portare testa, cuore e gambe in un’altra dimensione. Il desiderio di dedicare questa faticaccia a due cari amici.
Mi avvio da casa poco dopo le 6 di venerdì 19 giugno. Claudia dorme ancora e anche le strade sono sguarnite di ogni forma di vita. Da Castano mi separano 12Km, che percorro in tutta tranquillità, respirando l’aria fresca del mattino.
Alle 7.15 sono pronto a partire e l’immagine riflessa che ho di me è quella di un moderno e improbabile Don Chisciotte, su un inverosimile destriero a pedali, pronto ad affrontare i 14 mostri che, chilometro dopo chilometro, mi troverò davanti.
Aggancio lo scarpino e parto!
“Nel mondo oggi più di ieri domina l’ingiustizia,
ma di eroici cavalieri non abbiamo più notizia;
proprio per questo, Sancho, c’è bisogno soprattutto
d’uno slancio generoso, fosse anche un sogno matto”.
Le prime pedalate sono lungo “le strade di casa”, sulle colline novaresi, quelle che Claudia e io siamo soliti percorrere nelle nostre uscite domenicali e che indirettamente mi infondono un non so che di tranquillità. A Cossato ho già percorso 55Km, quando abbandono la strada principale e comincio a fronteggiare il primo mostro. Sella Banchette, 706m, pendenze che non creano grossi problemi, quasi fosse un antipasto per aprire lo stomaco. La affronto con la dovuta calma, tenendo respiro, gambe e fatica sotto controllo. La discesa verso Biella si esaurisce rapidamente e, dopo una svolta a destra che quasi non vedo, comincio a risalire la Valle Cervo.
Nuvoloni minacciosi si stagliano sopra il caschetto, quasi fossero la nota nuvola Fantozziana da ragioniere. Un classico! A Bielmonte è sempre così per me: non più tardi di 15 giorni fa io e Claudia avevamo preso una lavata epocale salendo dal versante opposto. Anche questa volta non si smentisce: arrivato a metà ascesa la pioggia mi costringe a infilarmi la mantellina. Da impervie le condizioni si fanno da tregenda in prossimità del passo: vento, pioggia, grandine e temperatura che precipita a 5°. Mi infilo sotto una tettoia: sempre meglio del riparo tra i sacchi d’immondizia della scorsa volta! In mezz’ora spiove e il sole torna a far capolino, ma l’asfalto è ormai imbevuto d’acqua. Non me ne curo, non voglio perdere troppo tempo e mi avvio in discesa. In men che non si dica scarpe e calze sono bagnati.
A Coggiola le pendeze favorevoli si esauriscono e prende il via una nuova salita senza neanche “passare dal via!”. Sotto con l’Alpe Noveis, le sue pendenze che spesso vanno in doppia cifra e le biciclette colorate ad abbellire uno scenario scarno di panorami. A farmi soffrire di più, però, non è niente di tutto questo: è la temperatura che dai 5° di Bielmonte è salita a 25° in un batter d’occhio. 20 gradi di differenza che si sentono e che mi fanno faticare più del dovuto. Ma sono “solo” a 140Km percorsi: non posso essere già in crisi! Il terzo mostro mi ha solo ferito: grondo sudore e nulla di più.
Via nella tecnica e tortuosa discesa di Crevacuore che mi porta in Valsesia. A Borgosesia ne approfitto per una sosta / rifornimento in pasticceria, prima di ripartire. Prendo a salire verso la Valduggia, ma quasi subito svolto a sinistra in direzione Cellio. Ricordo ancora l’altimetria, studiata i giorni prima della partenza, “Questa non dovrebbe essere difficile” mi dico, peccato che la traccia disegnata dal diabolico Ciclofachiro non sia quella dell’altimetria, ma la strada parallela. 12, 13, 11% sono i numeri che si alternano sul mio Garmin, prima di raggiungere la Sella di San Bernardo.
Come in un encefalogramma mi getto in discesa: sono ormai le 18, ho percorso 170Km e mi appresto ad affrontare il Passo della Colma. La luce si fa dorata e le temperature meno ostili, sento la gamba girare decisamente meglio e, prima dell’imbrunire, sono sulla groppa del quinto orco di giornata.
Raggiungo in discesa il lago d’Orta e, al primo posto utile, mi fermo per una meritata pasta e un gelato, mentre il sole si spegne nelle tranquille e placide acque del lago.
Indosso la mantellina fluo della Parigi – Brest – Parigi, quasi fosse la mia armatura e inizio, da Agrano, a scalare il Mottarone. I ricordi corrono indietro nel tempo: a quell’infinita notte nella quale Claudia e io lo scalammo insieme. Arrivo in cima intorno alle 23, circondato dal buio e dal silenzio.
La discesa verso il lago Maggiore è lunga e scura, ma la luce anteriore e quella frontale sul caschetto fanno il loro dovere. Raggiungo la sponda occidentale del lago e, in uno spiazzo con una panchina, mi fermo qualche istante a osservare le acque che ormai si confondono col cielo, quasi fossero un tutt’uno e non esistesse più un confine. In quel preciso momento capisco che, quei mostri che sto affrontando, uno dopo l’altro, sono solo mulini a vento. Illusioni. Non sono nemici, ma sono quelle care e nobili montagne che mi hanno regalato sogni e emozioni. Non sono avversari da annientare, ma alleati ai quali chiedere umilmente ospitalità.
“Sancho ascoltami, ti prego, sono stato anch’io un realista,
ma ormai oggi me ne frego e, anche se ho una buona vista,
l’apparenza delle cose come vedi non m’inganna,
preferisco le sorprese di quest’anima tiranna”.
Riparto allontanandomi dalla sponda del lago e inoltrandomi nella notte. Sento gli occhi farsi pesanti, così mi fermo in un parcheggio e mi stendo qualche istante su un gradone di cemento per un attimo di riposo. Neanche il tempo di chiudere gli occhi, ed ecco sopraggiungere due ragazze, incuranti della mia sonnolenta presenza, che eleggono quel luogo come scenario per il loro resoconto del venerdì sera. Mi alzo e riparto.
“Salta in piedi, Sancho, è tardi, non vorrai dormire ancora,
solo i cinici e i codardi non si svegliano all’aurora”.
Prendo a scalare Piancavallo quando uno scampanellio attira la mia attenzione: 4 o 5 caprette illuminate dalla luce anteriore, mi precedono di pochi passi per circa 500 metri, finché non si scocciano di farmi da apripista e si intrufolano nel bosco. Procedo da solo, staccando il branco di capre come fosse il gruppone dei Giro. Lentamente il cielo inizia a colorarsi, mentre un nuovo rumore, sinistro, attira nuovamente la mia attenzione: scorgo due cinghialetti attraversare la strada; poi uno, due, tre cinghialoni. Mi fermo. Non vorrei infastidire mamma, papà e parenti stretti. Attendo pazientemente che attraversino tutti, quasi fossero i Beatles sulle strisce di Abbey Road. Mi alzo sui pedali e con un rapido scatto mi levo di torno, mentre degli inquietanti grugniti aleggiano nella vegetazione buia. Arrivo in cima al sorgere del sole, ma prima di affrontare la discesa devo percorrere un tratto in contropendenza che sembra non finire più.
Rieccomi sul lago Maggiore che lentamente si desta dal torpore, mentre raggiungo Cannobio dove mi fermo per colazione. Mi attende ora Pian di Sale, ovvero la risalita della Val Cannobina, alla fine della quale varco il confine Svizzero. La strada scende gradualmente verso Locarno, permettendomi così di recuperare energie preziose, anche perché la prossima montagna è forse la peggiore di tutte: l’Alpe Neggia. L’ho già affrontata e so bene cosa mi aspetta: pendenze che rimangono quasi costantemente in doppia cifra fino al passo. Mi armo di pazienza e prendo a ballare la mia goffa danza sui pedali. Lo scenario che si gode salendo è fantastico: quasi la fatica fosse il prezzo da pagare per quelle viste mozzafiato! Arranco, sudo, stringo i denti, ma verso le 15.20 arrivo finalmente lassù, su quell’alpeggio dove regna la tranquillità.
In discesa faccio rientro in Italia, ma ci resto poco perché, raggiunto Luino, prendo a sinistra la strada che porta alla dogana di Fornasette. Di nuovo in Svizzera, quasi fossi un losco contrabbandiere di polvere di illusioni. Mi attende Cademario, una salita inedita con la quale non si instaura una gran simpatia: è una di quelle ascese che procedono “a gradoni”, dove sali di 100m e scendi di 50. La vetta sembra non materializzarsi più sotto le ruote. Sono ormai le 19.45 quando completo la decima salita e, senza perdere troppo tempo, mi getto in discesa verso Lugano. Voglio rientrare in fretta in Italia: nei miei piani ho ipotizzato di cenare, salire a Lanzo d’Intelvi e trovare un posto per riposarmi qualche ora. I 30Km che mi separano dall’Italia, esaurita la discesa, sono una serie di saliscendi, mentre il sole arrossisce oltre le vette che mi circondano. Raggiungo Porlezza verso le 21.15 dopo 460Km percorsi e, al primo posto che scorgo, mi fermo per una meritata pizza. Nel mentre sento Claudia, al rientro da una “tranquilla pedalata solitaria” di 220Km, che però smonta i miei piani. Ha ragione: se salissi ora a Lanzo d’Intelvi arriverei non prima delle 23.30. Cosa troverei a quel punto per riposare? Un’altra notte in bianco non me la sento, così mi propone di fermarmi a Porlezza per dormire qualche ora. Trova un posto non troppo distante dalla traccia e, alle 23.45 mi sdraio su un letto vero, dopo una doccia calda: biglietto direttissimo per il mondo dei sogni.
Alle 3.30 sono di nuovo in sella, avvolto da un cielo catrame e stelle luccicanti. Osteno dista un pugno di chilometri. Un tornante a sinistra apre le danze di una nuova fatica. A Pellio la strada spiana per un breve tratto, mentre il cielo sopra il lago di Lugano, che vedo ormai minuscolo al mio fianco, prende fuoco.
Due cervi mi attendono immobili in mezzo alla strada. Mi fermo, ci guardiamo negli occhi per qualche secondo, ma sembra un’eternità. Il cuore mi rimbalza in gola mentre lentamente e apparentemente tranquilli spariscono nel bosco. Attimi che non riesco a immortalare o descrivere a dovere.
Raggiungo Piano delle Noci. Lanzo d’Intelvi pare un paese fantasma: tutti sono ancora preda dei loro sonni. Sto per iniziare la discesa quando scorgo tre volpi sul ciglio della strada. Seguo con lo sguardo le loro code rosse allontanarsi nel prato, mentre la ripide pendenze favorevoli mi fanno espatriare per l’ennesima volta in Svizzera. Mi riporto lungolago, che costeggio fino a fare ritorno in Italia a Porto Ceresio, dove mi fermo per colazione.
Ho percorso più di 500Km ormai e restano le ultime tre vette da conquistare per portare a termine questa follia. Alle 8.40 sono già in cima all’Alpe del Tedesco. Pochi tornanti di discesa e si riprende a salire verso il Sette Termini. Nel mentre il sole si leva caldo nel cielo e incrocio i primi gruppi di ciclisti intenti nelle loro uscite della domenica. Poco dopo le 10 sono ai 922m del penultimo passo. La discesa mi porta nuovamente a Luino, dove mi fermo in pasticceria per prendere una crostatina per me e una da portare a Claudia che mi attende alla fine della discesa del Cuvignone. L’ultima montagna sulla lista. Non fosse proprio quella che odia, magari l’avremmo scalata insieme.
Fatico, ma mi ripeto che è l’ultimo valico da affrontare. Il mantra funziona e, nell’ultimo tratto, riesco a trovare una discreta pedalata e salutare i due ciclisti coi quali mi sono ritrovato casualmente a salire. La discesa del Cuvignone è tecnica e tortuosa, ma Cittiglio si materializza sotto le ruote quanto prima. Claudia mi attende lì e insieme siamo pronti ad affrontare gli ultimi 50Km. Ora so che tutto sarà più facile. Lei ha percorso la traccia a ritroso e mi avvisa che in un punto, causa lavori, la strada è chiusa e dovremo fare una piccola deviazione che si tradurrà in uno strappo in più da affrontare. “Non sarà quello a fermarci”, la rassicuro.
Il clima si fa rovente: 34 afosi gradi nella calda pianura. Grondo sudore da ogni poro e sento i piedi esplodere nelle scarpe. Decidiamo così di fermarci per una sosta – pediluvio in un cimitero, non il massimo del romanticismo, ma almeno il posto è tranquillo. Il contesto ha quasi del tragicomico e istintivamente ridiamo. Gli ultimi chilometri sono lenti, pesanti, stanchi, ma il cartello di Castano Primo mi riaccoglie dopo 56 ore e 50 minuti: pienamente nel limite delle 60 ore di tempo massimo.
Tiro un lungo sospiro nel quale stanchezza e tensione si sciolgono insieme. Che avventura ragazzi! Tornando a casa guardo le vette ormai distanti: quelle punte aguzze come matite che avevo erroneamente considerato nemici da affrontare, ma che, in fin dei conti, sono quelle che hanno scritto nella mia anima le emozioni più belle. Non sono mostri, solo mulini a vento mossi da folate di sogni.
“questo pazzo scatenato che è il più ingenuo dei bambini
proprio ieri si è stroncato fra le pale dei mulini…
E’ un testardo, un idealista, troppi sogni ha nel cervello”.
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