DISTANZA: 623Km |
DISLIVELLO: 12600m D+ |
PARTENZA / ARRIVO: Pietramurata (TN) Percorso ad anello. Vedi mappa percorso |
SALITE AFFRONTATE: – Monte Bondone (1537m) – Sella di Vigolo Vattaro (735m) – Passo Cereda (1369m) – Forcella di Aurine (1299m) – Passo Duran (1601m) – Passo Staulanza (1773m) – Passo Giau (2233m) – Passo Tre Croci (1805m) – Passo S. Antonio (1476m) – Passo Monte Croce di Comelico (1636m) – Passo Furcia (1759m) – Passo Gardena (2121m) – Passo Pinei (1437m) – Passo Mendola (1363) – Passo Campo Carlo Magno (1681m) – Stenico (666m) |
DIFFICOLTA’: |
PANORAMA: |
DESCRIZIONE:
Nella settimana tra il 17 e 21 agosto avrei dovuto prender parte alla 1001 Miglia. Poi, quando il Covid ha raggiunto la nostra pensiola prima, l’Europa e il Mondo poi, uno a uno i vari eventi, sportivi e non, sono stati forzatamente rimandati o annullati. I giorni di ferie però sono rimasti lì e allora perché non usarli per tentare una seconda Super Randonnée dopo quella Prealpina?
Per settimane ho sfogliato la lista delle Super Randonnée Italiane come petali di una margherita, ma alla fine a prevalere sulle altre è stato il pensiero delle Dolomiti: quelle montagne, tanto maestose, imponenti e severe, che mi hanno conquistato sin dalla prima volta. Le ho percorse in lungo e in largo, in bici e a piedi e tornare su quelle cime dopo qualche anno, non può che farmi fantasticare e volare con la fantasia. Ironia della sorte, l’ultima volta che ero stato in zona in bici, avevo scalato in Monte Bondone che, come un film rimasto in pausa per anni, sarà anche la prima salita che dovrò affrontare in questa avventura.
Contattato Fabio, l’organizzatore e ideatore del brevetto, fisso la partenza per martedì 18 agosto. Purtroppo le condizioni meteo non sono delle migliori: prevedono pioggia e freddo sia la mattina che la sera. Alle 7.20 sono in sella, sotto un cielo grigio, triste e piatto che non lascia presagire nulla di buono. 15° nell’aria e qualche folata di vento dal sapore autunnale.
Poche pedalate e inizio a salire verso il Monte Bondone, impossibile con i nuvoloni che mi circondano non pensare a Charly Gaul e al suo “infernale Bondone“. Oggi il meteo non è clemente, ma rispetto a quel nefasto 1956, non mi posso lamentare. Anzi, per dirla tutta mi va proprio di gran lusso: quando la vista si apre, scorgo le nubi riversare pioggia sulla vallata sottostante, ma l’asfalto che scorre davanti alle mie ruote è asciutto e io riesco a giungere in cima bagnato del solo sudore. In vetta qualche goccia inizia a cadere, il tempo sull’altro versante sembra nettamente migliore, così mi copro e mi getto in discesa senza esitare. Non sbaglio: ben presto la pioggia desiste e, tra una distesa di meleti e l’altra, raggiungo la periferia di Trento. Supero l’Adige e inizio a risalire verso la Sella di Vigolo Vattaro, mentre le mele lasciano spazio alle viti. La seconda salita, a parte il drittone al 17%, non presenta grandi difficoltà e mi fa correre indietro nel tempo, quando, anni fa, percorsi quella stessa strada per raggiungere in bici la diga del Vajont.
Raggiungo così il lago di Caldonazzo e imbocco la ciclabile della Valsugana. Qui nasce una sorta di testa a testa tra me e la pioggia: i nuvoloni neri mi braccano alle spalle e di tanto in tanto le prime gocce mi raggiungono, ma il vento a favore mi permette di far correre le ruote oltre i 30km/h. A Borgo Valsugana ho percorso 90Km e staccato i nuvoloni più cupi.
Abbandono la Valsugana per iniziare a salire dalle Scale di Primolano e raggiungere poi Fiera di Primiero, porta di accesso alle care Dolomiti. Ad attendermi, dritto sull’attenti, ecco il Passo Cereda, che sinceramente non ricordavo così duro, mentre qualche timido squarcio di sole si fa spazio tra le nuvole. La Forcella di Aurine mi attende subito dopo, ma rispetto al Cereda è ben più agevole. Nel mentre, un doppio arcobaleno si staglia nel cielo e io non posso che rimanere incantato e incredulo.
Ad Agordo ho percorso ormai 180Km e si è fatta ora di cena. Ne approfitto per fare razzia di qualcosa di commestibile e iniziare a salire verso il Passo Duran. A metà ascesa riprendere a piovere, fortunatamente non in modo battente e altrettanto fortunatamente smette dopo un paio di chilometri. Il Passo Staulanza è il prossimo sulla lista. Arrivo in cima che è completamente buio, silenzio, mistero. Guardo il cielo, ma non si vede nulla: solo una coperta nera e uniforme che sovrasta le vette delle montagne. Inizio la discesa, quando improvvisamente sento un tuono fragoroso da qualche parte sopra il caschetto. Ecco poi un lampo, ecco il temporale, che mi investe in discesa senza scampo. Pioggia ghiacciata, come puntine che mi trafiggono il viso. Non c’è un posto dove potermi fermare, con gli occhiali bagnati e il buio faccio fatica a vedere, ma mi dico che non ha senso fermarmi qui ora, senza riparo, in balia del maltempo.
A Selva di Cadore smette di piovere, ma io ormai sono fradicio. Valuto rapidamente la situazione e l’unica cosa “sensata” che riesco a prendere in considerazione è quella di ripartire in salita, di modo da scaldarmi. Ad attendermi c’è lui: il Giau, il mio Giau, quello che con lo Stelvio e l’Iseran, mi regala sempre grandi emozioni. Avevo programmato tutto intorno a lui, di arrivare in cima all’alba, ma le circostanze mi fanno optare per iniziare a salire subito, ben prima del previsto.
Salendo tra i ripidi tornanti, riesco ad acclimatarmi, mentre sopra la mia testa va in scena una stellata incantevole che mi distrae e anestetizza la fatica. Sento il cuore battere a mille e non so se sia per lo sforzo o per l’emozione. Attorno a me, oltre le creste scure delle montagne, vedo i lampi e sento tuoni lontani, quasi fossero fuochi d’artificio di un paese a festa. Mi auguro che restino distanti da qui. Giungo in cima, ai 2233m, all’1.30. Mi attendono appena 3°. Saluto il vecchio gigante di pietra e mi rammarico per non potermi godere il fantastico panorama che si può apprezzare in vetta, per l’alba mancata, ma quella stellata imprevista non la dimenticherò.
Mi copro e mi getto in discesa. L’asfalto è ancora bagnato dal recente temporale che evidentemente è passato anche di qui, con il risultato che i piedi e i pantaloncini si inzuppano di nuovo. Un paio di daini mi guardano curiosi mentre spedito nella notte scendo verso Cortina. Trovo per caso un distributore automatico di caffè caldo, lo benedico, mentre dei poliziotti, in coda anche loro per un caffè, mi scrutano e si chiedono cosa ci faccia lì, in bici, in piena notte. Niente di sensato evidentemente.
Di nuovo infreddolito, decido di proseguire in salita lungo i fianchi del Passo Tre Croci. Sto per lasciare Cortina quando noto un ubriaco camminare a zig zag in mezzo alla strada. Appena mi vede mi chiede se posso dargli un passaggio in canna: “Abito poco più su di qui“. Provo a rispondere che mi viene difficile portarlo in canna in salita e non so bene come, ma la mia spiegazione lo convince.
Alle 4.10 sono ai 1805m del Passo Tre Croci. Ancora una volta i ricordi mi rincorrono e mi raggiungono: ripenso a quando passai di qui col mio Giro delle Alpi di qualche anno fa. Quel giorno avrei voluto scalare le Tre Cime di Lavaredo, ma la pioggia a dirotto mi costrinse a desistere. Trovai riparo nel bar Son Zuogo, proprio qui al passo, dove rimasi circa due ore, finché non smise di piovere. Sarebbe stato bello trovare il bar aperto e ringraziarli per l’ospitalità di quel giorno lontano.
La discesa verso Auronzo di Cadore è lunga e riesce nuovamente a congelarmi. Il cielo intanto inizia a cambiare colore e all’orizzonte sembra prospettarsi una giornata nettamente migliore di questa ormai agli sgoccioli. Raggiungo il paese dopo 287Km. Sono da poco passate le 6 e sento il bisogno di un altro caffè. Sto pedalando ormai da 24 ore e durante la notte non mi sono mai fermato. Scruto attentamente ogni bar che incrocio, ma sono tutti chiusi, finché un signore su un furgone giunge in mio aiuto: “Cerchi un bar? Se vuoi ce n’è uno aperto all’inizio del paese, vicino alla diga“. Lo ringrazio e proseguo spedito verso quel miraggio che si traduce in un caffè bollente che stringo tra le mani e una brioche al cioccolato.
Riparto e subito ha inizio il passo di S. Antonio. La parte centrale dell’ascesa è molto impegnativa, con pendenze che spesso e volentieri vanno in doppia cifra. Fortunatamente il lungo rettilineo finale è più agevole, mentre nel cielo si leva finalmente un sole sereno e la vista si apre sulle vette delle Tre Cime. Il Passo di Monte Croce di Comelico, decisamente più agevole, segue subito dopo. Raggiungo la vetta (1636m) alle 9. Mi siedo pochi minuti su una panchina al sole, giusto il tempo di togliere le calze bagnate, legarle al manubrio della bici e infilarmi un paio di calze asciutte e, per la prima volta da quando sono partito, gli occhiali da sole.
A San Candido imbocco la ciclabile della Val Pusteria che alterna tratti asfaltati ad altri di strada bianca. Passo da Villabassa, punto di controllo lo scorso anno del 600 di Sport Verona e raggiungo Valdaora dopo 350Km. Il sole, finalmente caldo, ha ormai superato i 25° e la salita che porta al passo Furcia, tra pascoli verdi stile sfondo di Windows XP, mi da il benvenuto con tratti severi e impegnativi che arrivano al 17%. Fatico parecchio, ma alle 13.10 sono ai 1759m del valico.
Raggiungere Corvara è un’agonia: vuoi per il caldo, vuoi per l’infinito falsopiano a salire e vuoi per la stanchezza che inizia a farsi sentire, mi faccio forza e inizio a scalare le pendici del passo Gardena. La strada è una processione di auto e moto che mi danno la sensazione di provocare una ferita al cuore di quelle vette immense e silenziose, dove andrebbe piuttosto contemplata la maestosità, il silenzio e la vista di quei luoghi così regali. Provo a ignorare il traffico che mi circonda, ma contemporaneamente vivo il momento più difficile. Sono le 16, il caldo si è fatto torrido e le gambe pesanti. Per un paio di tornanti penso di arrivare in cima e chiuderla qui, ma negli ultimi 2Km di salita mi aggrappo a quello che ho dentro, ai pensieri intimi e felici che in questi casi mi aiutano a superare le difficoltà. Giungo al passo e mi infilo la mantellina “A ritirarmi non ci penso“. Affronto il passo Pinei (1437m) mentre la luce si fa dorata e l’ora di cena prossima. In vetta ho ormai percorso 430Km e, al telefono con Claudia, facciamo il punto della situazione. Di comune accordo optiamo per scendere a Bolzano, mentre lei cerca un posto per mangiare e uno per dormire qualche ora. Mi richiama poco dopo “Ho trovato un bel posto dove puoi mangiare qualcosa, ti mando le indicazioni via messaggio. Per dormire….. Mi spiace ma non c’è nulla, neanche nei paesi prima o in quelli dopo“. La notizia non mi scompone e non mi preoccupa: la rassicuro dicendole che fa caldo e, vista la mia adattabilità che mi consente di dormire un po’ ovunque, troverò un luogo appartato e sicuro all’aperto.
Arrivo a Bolzano verso le 21 e raggiungo il luogo descritto da Claudia. Con nuovo carburante in corpo alle 22.30 riparto, esco dalla città e, appena fuori, trovo un’area con tavolino e panchine lungo la ciclabile che sto percorrendo. Un muretto mi permette di nascondere la bici e me stesso. Non tolgo neanche il caschetto che uso come cuscino, mi raggomitolo sotto una coperta di stelle per 3 ore.
Alle 2 mi sveglio e riparto nel buio verso il passo Mendola, salita lunga e inedita. Bellissimo l’ultimo tratto: un andirivieni di tornanti scavati nella roccia con vista mozzafiato sulle luci della vallata avvolta dai sogni. Giungo in vetta alle 4.40, ancora una volta accarezzato dal silenzio. La discesa che porta verso la val di Sole è lunga, i bar sono ancora tutti chiusi e nonostante l’aria che mi solletica il viso, sento le palpebre farsi pesanti come mattoni di cemento armato. Accosto e mi getto in un meleto per 20′. Quando riapro gli occhi il cielo è tinto di rosa, quasi un pittore avesse completato la sua opera mentre ero sopraffatto dal sonno.
Riparto con nuove energie e, dopo la meritata colazione a Dimaro, sono pronto a scalare il passo Campo Carlo Magno. La salita, terzo inedito di questa avventura dopo Furcia e Mendola, non presenta mai pendenze eccessive. Alle 9.40 sono ai 1681m del valico con ormai 545Km nelle gambe.
Nella discesa che passa da Madonna di Campiglio, mi godo l’aria fresca del mattino e le splendide viste sulla Cima Tosa.
Ho percorso 575Km quando giungo, su una delle tante ciclabili della zona, a Tione di Trento. Pochi km mi separano dal traguardo e un ultimo punto di controllo: quello di Stenico a quota 666m. Sono ampiamente nel termine delle 60 ore, ma l’imprevisto, come in questo caso, è sempre dietro l’angolo, motivo per il quale cerco di tenermi sempre un po’ di margine. Guardo il navigatore: la traccia mi rimanda sulla strada, ma la ciclabile continua davanti a me: “Rimango sulla ciclabile, tanto segue la strada“, mi dico. Pochi metri dopo invece la corsia ciclabile si allontana dalla sede stradale, ma non la perdo di vista e, quando mi rendo conto di essermi allontanato troppo, attraverso il prato e mi riporto sulla traccia. Ed ecco il “patatrac”: mi riporto sì sulla traccia, ma anzichè procedere a destra come sarebbe auspicabile, distrattamente prendo a sinistra. Sono convinto di pedalare spedito verso l’arrivo, ma in realtà sto tornando indietro! Al Km 590 mi fermo. Mi dico che dovrei essere ormai a Stenico, ma non si scorgono cartelli. Prendo il cellulare dalla tasca e cerco il paese: dista 15Km. Passo 10 minuti buoni senza capire cosa diavolo stia succedendo, finché non noto una cosa: ho il fiume Sarca alla mia sinistra, mentre dovrei averlo a destra. Capisco così di stare pedalando da diversi km a ritroso. Lo so, direte: “Ma non ti sei accorto che stavi rifacendo la stessa strada di poco prima?” No, non me ne sono reso conto.
Non mi arrabbio, non mi innervosisco, ma anzi ci rido su. Giro la bici e riparto, finalmente nella direzione corretta.
Raggiungo Stenico, un piccolo paese aggrappato alla montagna, alle 13.40. E’ fatta! La discesa verso Pietramurata offre dei panorami che mi fanno credere di essere nelle gole di Verdon. Bellissimo! Raggiungo il punto di partenza con un filo di dispiacere, quasi l’aver sbagliato strada e allungato il percorso di 20Km non mi sia dispiaciuto.
Concludo così in 55 ore (limite 60 ore) i miei 603Km tra le Dolomiti, diventati poi 623.
Il giorno seguente, finalmente dopo una doccia e una notte in un letto vero, faccio ritorno a casa. Prima di partire però, volgo un ultimo malinconico sguardo a quelle montagne che, una volta di più, mi hanno regalato emozioni grandi quanto loro e che non sarò mai in grado di tradurre in parole. Ma in quel mio ultimo sguardo non c’è un addio, ma un arrivederci. Tornerò, anzi torneremo, presto da voi.
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