Nella mia umile carriera di ciclista ignorante, mi sono ritrovato a scalare qualche salita. Non chiedetemi di tecnica, rapporti, stile, materiali. Non vi saprei rispondere. Magari mi ricordo che al terzo tornante c’è una bella vista, ma non la pendenza.
Nel mio pellgrinaggio, nel mio scendere e salire, ho capito che le montagne, con le loro strade che si arrampicano verso la vetta, non sono tutte uguali. Ci sono salite che ami di più, altre che ti sono indifferenti e alcune che addirittura odi. Non è legato necessariamente alla durezza del percorso, ma magari semplicemente alle tue sensazioni, emozioni, ricordi, compagni d’avventura. Così, ascesa dopo ascesa, stili una valutazione del tutto personale dei tuoi passi, un po’ come si fa con trip advisor e i ristoranti.
Ecco, da questa lista simbolica, vengono escluse tutte quelle salite che, per quanto ti sforzi, non riesci a metterle al pari delle altre. Sono quelle montagne che, personalmente, chiamo gli “eterni giganti di pietra”. Perchè ho l’impressione siano lì da sempre. Sono quelle ascese che gli addetti ai lavori classificano come HC: hors category, fuori categoria. Diverse da tutte le altre. Perchè? Perchè su quelle pendici, fino all’ultima pedalata, non sei mai davvero sicuro di farcela.
Quando qualcuno mi chiede come faccio a salire in bici su quelle strade contro natura, rispondo sempre allo stesso modo: quando sei in montagna, su un passo, il successo nella tua personale impresa dipende da 3 fattori: 50% gambe, 30% testa, 20% la montagna. Già, perchè non devi mai dimenticare che la montagna, la natura, è più forte di te e se vuole rendersi inaccessibile, può farlo e tu puoi solo accettarlo.
Su quei giganti di pietra, la forbice che rappresenta la montagna, quell’ipotetico 20%, è ancora più ampia e il 50% delle tue gambe più ristretto. Ecco perchè, fino alla fine, non sai se ce la farai.
E’ domenica mattina, Milano si gode gli ultimi brandelli di sabato notte, mentre il cielo lascia intravedere una bella giornata. Sono circa le 6 e io sono già sul treno quando il sole si leva giallastro oltre le vetrate opache e fosche della stazione centrale. Poco prima delle 9 sono a Tirano, pronto a saltare in sella.
Pochi km di fondovalle mi portano a Stazzona, dove abbandono il sentiero valtellina e prendo a salire verso l’Aprica. Strada che sale regolare tra gli alberi verdeggianti e belle vedute sulla vallata. L’arrivo in vetta, a quota 1176m, mi riporta a una frenetica realtà cittadina. Il passo infatti, ha poco dei tranquilli valichi montani, ma è piuttosto un centro turistico e di villeggiatura. Me lo lascio alle spalle alla svelta, scendendo verso Edolo. Senza accorgermene ho lasciato la provincia di Sondrio, per passare in quella di Brescia e sono entrato in Val Camonica. La strada intanto riprende a salire alternando falsipiani a tratti di ascesa più decisi. Guadagno 500m di dislivello in una ventina di km e mi ritrovo a Ponte di Legno, dove saluto definitivamente la starda che porta al Tonale e inizio ad arrampicarmi sulle braccia del gigante.
Primi km di riscaldamento, ma ben presto la musica cambia. In alcuni punti la strada sale dritta verso le nuvole bianche che scorrazzano libere nel cielo estivo. Alleggerisco il cambio e mi adeguo quelle impervie pareti d’asfalto che mi circondano e che, nel punto più duro, arrivano fino al 16%.
Guadagno quota in fretta, sotto lo sguardo attento e silenzioso del gigante che, metro dopo motro, si fa glabro. La sua pelle però è ruvida, segnata da un tempo eterno.
Tutto si riduce al minimo, all’indispensabile: ossigeno, asfalto, pietre. Poco altro. Ancora una galleria buia sul mio cammino, quella del Gavia è oltretutto in salita e in curva. Mi fermo per sistemare la luce e riparto. Al buio, avvolto dal silenzio, il tempo sembra fermarsi. Sento solo il mio respiro affannoso e ritmato. Riemergo alla luce calda e la sensazione è la stessa di ogni volta: so che mancano meno di 3 km alla vetta e inizio a intuire che, anche oggi, il gigante può essere clemente con me e lasciarmi salire sulle sue spalle.
Non mi sbaglio e ancora una volta arrivo lassù, a quota 2618m, tra vette immense, laghi cristallini e viste incredibili. Lassù dove è più facile sognare, perchè i sogno volano più velocemente in cielo.
Pochi minuti per rinfrancare lo spirito e fare l’unica cosa che puoi fare quando arrivi in cima: scendere.
Serie di tornanti ed eccomi a Santa Caterina di Valfurva, di nuovo in provincia di Sondrio, di nuovo in Valtellina.
Proseguo verso Bormio, volgo uno sguardo, un sorriso e un “A presto” all’altro eterno, silenzioso, gigante di pietra e proseguo riprendendo il sentiero valtellina abbandonato la mattina dopo pochi km. La strada, tutta in leggera discesa ora, mi riporta velocemente a Tirano, chiudendo così un anello di 134km, tanta salita, panorami unici e infinite emozioni, prima che un altro treno mi riporti a casa.