E’ una bella domenica di inizio marzo. L’aria è ancora fresca e frizzante, ma non voglio lasciarmi sfuggire questo antipasto di primavera o ultimo sussulto d’inverno… Dipende dai punti di vista.
Decido, sorseggiando il caffè, che è giunto il momento di riprendere a salire un po’ perchè mi manca la strada che si inerpica sotto le ruote, mi manca il sudore, la fatica da scalata e un po’ perchè ho una nuova bici da provare in salita e discesa, capire come risponde, conoscerci a vicenda.
Quale salita scegliere? Beh un po’ per riprendere la gamba e un po’ per ottenere una sorta di protezione divina per la mia nuova compagna di avventure, tutte le risposte portano a una sola salita: il Ghisallo, il tempio dei ciclisti.
Butto tutto alla rinfusa nello zaino e parto.
Percorro i chilometri che mi separano da Milano Cadorna sognando e cercando di ricordare quella scalata, fatta ormai 10 mesi fa.
Il principio non è dei migliori: per pochi minuti perdo il treno delle 9.40. Dovrò aspettare un’ora in stazione. Poco male: il mio netbook mi terrà compagnia… Se mi fossi ricordato di caricarlo. Invece mi saluta dopo pochi istanti e poche pagine lette, ancora prima che parta il treno.
I vagoni sono ricolmi di gente, per lo più ragazzi che vogliono passare con la propria metà qualche ora sulle sponde del lago di Como. Li osservo e sorrido, mentre loro decidono dove scatteranno la loro foto ricordo, o dove pranzeranno.
Giunto a Como mi metto in marcia in quella sequela di “mangia e bevi” di circa 30 km, fino a Bellagio. Passano veloci, distratto dal lago, che nonostante il bel sole si nasconde dietro a una patina opaca e dalle montagne circostanti, che portano ancora chiari i segni dell’inverno.
A Bellagio mi aspettavo di trovare più gente, invece in giro non c’è quasi nessuno. Sarà forse che è ora di pranzo e paradossalmente mi rendo conto che aver perso il treno non è stato poi così male, dato che mi ritrovo a pedalare nelle ore più calde (o sarebbe il caso di dire meno fredde) e con poche auto in giro.
Qui inizia la salita, quella vera. La salita del Ghisallo si può dividere in tre parti: la prima decisa, la seconda dove spiana e permette di respirare, la terza che si fa conquistare tornante dopo tornante.
Le gambe rispondono bene e, forse anche per il fatto di aver itrapreso la “carriera” di runner, mi rendo conto che anche il fiato tiene. Supero due ragazzi che, spossati, mi chiedono quanto manchi alla vetta. Li osservo: avranno almeno 10 anni meno di me, ma cerco di rincuorarli dicendo loro che non manca tanto e che a un certo punto la strada si fa più dolce. Ci rendiamo conto però che il mio “tanto” non corrisponde al loro.
Li saluto alzandomi in piedi e pedalata dopo pedalata, respiro dopo respiro, raggiungo la Madonna del Ghisallo, quel luogo fatato per ogni ciclista. L’unica cosa triste è vedere il museo chiuso. Peccato. Foto di rito a Naima, la nuova bici e si riparte.
Mi copro al meglio e mi do in pasto alla discesa verso Erba, che scorre ampia e sinuosa sotto le ruote, senza bisogno mai di frenare. Lungo le rive del lago Segrino trovo molta più gente in giro, che passeggia amabilmente in una domenica pomeriggio dal sapore di risveglio. In men che non si dica giungo a Erba, dove riprendo il treno che mi riporta a Milano.
Incontro altri ciclisti che, come me, tornano verso casa. Ci salutiamo e scambiamo qualche impressione sui rispettivi destrieri.
Le ultime fatiche di giornata sono quelle che da Milano Cadorna mi conducono a casa, mentre il sole si fa dorato e le ultime ombre di giornata si allungano sull’asfalto.
La stanchezza, dopo circa 90 km percorsi, si fa sentire, ma viene placata dalla soddisfazione di aver ripreso confidenza con la salita, con le montagne, rimirate da lontano, innevate, durante il lungo inverno.