Milano – Genova – Torino – Milano

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DISTANZA:
600Km
DISLIVELLO:
4000m D+
PARTENZA / ARRIVO:
Castano Primo (MI)
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SALITE AFFRONTATE:
– Cremolino (367m)
– Passo del Turchino (532m)
– Passo del Muraglione (410m)
– Montezemolo (734m)
– Cavoretto (370m)
– Cantavenna (340m)

PolliceSu
– Percorso ben studiato e provato. Non eccessivamente impegnativo per essere un 600.
– Fulvio si fa autenticamente in 4 per cercare di essere presente in ogni dove.
– Ristori e dormitorio ben organizzati
PolliceGiu
– Il meteo (400Km sotto l’acqua su 600) ha inevitabilmente condizionato il percorso e i suoi bei panorami
– Un buontempone ha pensato bene di rubarmi il faro anteriore al dormitorio di Ceva (chiaramente l’organizzazione non può essere considerata responsabile in tal senso).

Sono passati 2 mesi e mezzo da quel mattino del 7 marzo. Pian piano ho ripreso ad andare in bici, a faticare sui pedali, ma fino a ieri l’ho fatto in solitaria e lontano dalle manifestazioni ufficiali.
Decido di tornare alla amate randonnée sabato 20 maggio. Non in un 200, come consiglierebbe la razionalità, ma in un 600Km: la Milano – Genova – Torino – Milano, organizzata dall’amico Fulvio Gambaro.

Qualcuno, legittimamente, potrebbe chiedersi “perché?“. Me lo sono chiesto anche io e l’unica risposta sensata che ho trovato è che, per quella che è la mia natura, sento la motivazione ad andare oltre la fatica, solo se sono spinto da un sogno matto, da un obbiettivo, da una chimera astratta.

Per molti, la conquista di questo 600, rappresenta il pass per la Parigi – Brest – Parigi. Per me non sarà così: alla fine, viste varie vicissitudini e problematiche, Claudia e io abbiamo deciso di rimandare il sogno parigino tra 4 anni. Quindi, a maggior ragione, verrebbe da chiedersi “Perché prendere parte a questa mattana se non ti serve neanche come brevetto di qualifica?“.

SE IL BUONGIORNO NON SI VEDE DAL MATTINO…

Venerdì sera la bici è pronta: gomme nuove e gonfie, catena oliata, borsa da bikepacking sotto sella, copertone di scorta fissato sulla forcella e borsa da manubrio. Il piano è quello di partire da casa, percorrere i 10Km che mi separano da Castano Primo in tutta tranquillità e prendere il via.
Un piano troppo normale per filare liscio.
Infatti, sceso in box per partire, trovo la bici con la gomma anteriore bucata. Di corsa smonto le borse, sposto il copertone di scorta e cambio bicicletta. Il tutto mi fa innervosire e perdere diversi minuti. Come spesso accade, corre Claudia in mio soccorso che mi fa caricare la “nuova” bici in auto e mi accompagna alla partenza. Decisamente il buongiorno non si vede dal mattino.
Anche perché il cielo è coperto da un pesante drappo di nuvole grigie e le previsioni sono abbastanza monotematiche: pioggia, pioggia e ancora pioggia. Quel laconico “perché” rimbomba sempre più forte in testa.
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A Castano ritrovo tanti amici di fatica e asfalto: Matteo, assorto nei sui dubbi e perplessità, Aldo, cartonato e sorridente come sempre, Rosanna e Franco, pronti e instancabili per l’ennesimo 600 di questo 2023, Fulvio, sorridente nel tentativo di esorcizzare meteo e preoccupazioni.
Ci sono anche Daniele e Alessandro, vicini di casa, che mi propongono di percorrere insieme questi 600Km. Li ringrazio, ma declino: non so bene quale passo riuscirò a tenere e quanto sarò disposto a soffrire. L’ultima cosa che voglio è sentirmi in qualche modo responsabile del loro destino, visto che per loro è un brevetto di qualifica. Come sempre sarà la strada a decidere: se ci ritroveremo, andremo avanti insieme.

SI PARTE

Alle 9.30, al cospetto di pochi intorpiditi temerari, partiamo alla spicciolata dalla piazza di Castano Primo, allestita per l’occasione. Giusto il tempo di agganciare lo scarpino al pedale, che comincia a piovere. Lo sappiamo tutti: non smetterà più per oggi.

Chilometro dopo chilometro, mentre i piedi si inzuppano e le gocce creano strani origami sulle lenti degli occhiali, prendo il mio passo e, neanche a farlo apposta, mi ritrovo in scia del duo del Nazionale ASD: Daniele e Alessandro. In scia si fa per dire, perché appena provo a mettermi a ruota, schizzi di fango mi colorano il viso come coriandoli, facendomi desistere.
Gli asfalti che si alternano sotto le ruote, riportano alla memoria altre avventure, altre randonnée e, quasi senza accorgermene, raggiungiamo il controllo di Valenza, dopo 80Km. Al tavolo del bar ecco Fulvio, che si è teletrasportato qui.
Daniele e Alessandro preferiscono fermarsi per qualcosa di caldo, io preferisco proseguire per paura di congelarmi. Ci salutiamo dandoci un imprecisato appuntamento a più tardi.

LE PRIME SALITE

Sono ormai in Piemonte e sotto i copertoni fanno capolino le prime collinette che affronto di buona lena con l’intento di scaldarmi.
Al termine della salita di Cremolino, ecco sempre Fulvio che ci attende per un controllo segreto. Strabuzzo gli occhi: un po’ perché mi chiedo se sia davvero lui visto che lo avevamo lasciato a Valenza e un po’ perché saranno almeno 4 anni che non vedevo più un controllo segreto e rimango dell’idea che andrebbero utilizzati più spesso.
Il tempo di un caffè caldo, un pezzo di cioccolato e riparto in discesa. Passo da Ovada, la città dove ha sede la mia squadra, ma visto il tempo pessimo non scorgo alcuna faccia amica. Il tracciato intanto mi porta spedito verso il Passo del Turchino, che supero dopo 180km. Al valico finalmente sorrido, sopraffatto dai ricordi di un improvvisato 300 di qualche anno fa: una delle cotte migliori (in tutti i sensi) della mia vita.

Nella Milano Sanremo si dice che il passaggio dal Turchino segni la fine dell’inverno e l’inizio della primavera. In qualche modo questa credenza popolare vale anche oggi dato che, scendendo verso la Liguria, trovo l’asfalto inaspettatamente asciutto. Una tregua di diversi chilometri che mi permette di godermi la vista del mare, seppur con un cielo bigio a fare da sfondo.
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Ad Arenzano saluto l’Aurelia e imbocco la Strada del Deserto: un’autentica trovata di Fulvio. Strada stretta e isolata, con pendenze piuttosto ostiche e ruvide, che si inoltra in un fitto bosco privo di traffico. Mentre penso che sarebbe bello tornarci con Claudia in una giornata di sole, sento le gambe svuotarsi. Mi devo fermare due volte in pochi chilometri per mangiare qualcosa prima di ripartire e completare la salita. Me lo aspettavo, conscio di avere una tenuta imprecisata.
Ad Alpicella, Km221, è posto un nuovo punto di controllo e, mentre sorseggio una coca e mangio un pezzo di focaccia, vedo arrivare Daniele e Alessandro.
Ripartiamo insieme e, dopo una quarantina di chilometri nei quali riprende a piovere copiosamente, raggiungiamo il controllo di Cairo Montenotte. Baratto il piatto di ravioli con due fette di crostata, mentre Daniele e Alessandro mi dicono di aver prenotato una stanza una 15ina di chilometri prima di Ceva. Accetto con piacere l’invito ad unirmi a loro, ma mentre pregusto un caldo e morbido letto, vengo riportato alla realtà dalla risposta dell’albergatore che ci dice di non avere più posto.
Li ringrazio comunque per il pensiero e li rassicuro sul fatto che proseguirò fino a Ceva e dormirò lì.
Ripartiamo nuovamente insieme fino al loro meritato giaciglio. Li saluto e proseguo da solo sotto una pioggia torrenziale.
Scollino a quota 700 e rotti metri di Montezemolo, per poi farmi trasportare prudentemente in discesa. Tra la pioggia che mi arriva dritta in faccia e il buio, la visibilità è al minimo, ma fortunatamente Ceva (km293) si materializza davanti ai copertoni.
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Noto la bici di Fulvio (ancora lui?!?), legata artisticamente alla maniglia della portiera della macchina, illuminare il cartello “Controllo”.
Una doccia calda e vestiti asciutti sono una vera goduria e in pochi minuti sono pronto per ritirarmi a un meritato riposo di qualche ora. Poco prima di varcare la soglia del dormitorio, faccio amicizia con Andrea: l’organizzatore della rando Sawana, che avevo percorso lo scorso anno. Mi propone di ripartire insieme al risveglio. La mia risposta è sempre la stessa: “Proviamoci, poi sarà la strada a decidere. Buonanotte Andrea“.

Il dormitorio è ancora vuoto, così mi accaparro il materassone da salto in alto, infilo gli auricolari che mi isolano dal mondo, mi chiudo nel sacco termico e saluto tutti per 4 ore.

UN RISVEGLIO AMARO

Riposato e con la sensazione di aver dormito ben più di 4 ore, sono pronto a ripartire. Sento la pioggia ticchettare sull’asfalto oltre la porta, ma è ora di andare, se non fosse che Matteo ha sbarrato l’uscita, stile doganiere Svizzero, con la sua bici alla quale sta sostituendo la camera d’aria.
Recupero il mio destriero e mi rendo conto che qualcuno, durante la sosta, mi ha rubato il faro anteriore. Non mi crea un grosso problema, dato che me ne porto sempre uno di scorta, ma rimane la profonda amarezza per un gesto che non fa parte di questo mondo.

Anche Andrea è pronto a partire e in men che non si dica i nostri abiti sono nuovamente fradici come poche ore prima.
Al primo bar aperto che scorgiamo, ci fermiamo per colazione, dove la titolare, visibilmente preoccupata, ci dice che nella serata di ieri è stata diramata l’allerta meteo nel cuneese e torinese ed è stato consigliato di rimanere a casa. Non crede sia opportuno andare in giro in bici.
Come darle torto, ma ormai che alternative abbiamo? Non ci resta che provare a lasciarci alle spalle la zona e la pioggia il più rapidamente possibile.

Oltre alla fatica, la pioggia incessante che ci ha logorati e continua a consumarci, ora ci portiamo sulle spalle anche il peso della preoccupazione. Personalmente però ho una certezza: Fulvio. Ha tantissima esperienza, è prima di tutto un ciclista, uno di noi e so che non ci farebbe mai correre rischi inutili. Se ci sarà qualche impedimento, troverà il modo di avvisarci.

Raggiungiamo Cuneo, nuovo punto di controllo, dopo 347Km e simbolicamente lo considero il punto di non ritorno, o forse visto il clima, meglio scrivere lo spartiacque. La traccia infatti passa proprio vicino alla stazione, sicuramente ci sarebbe un comodo treno che potrebbe riportarci dritti a casa e porre fine a questo bieco spettacolo. Diversamente, pedaleremo fino all’arrivo, in qualche modo.
L’idea di fermarci nasce e muore silenziosamente nello sguardo, mentre puntiamo dritti verso Torino. I fiumi e torrenti che superiamo fanno davvero impressione e su alcuni ponti è già presente la protezione civile per valutarne la chiusura.

Raggiungiamo Moncalieri (Km438) che è ormai ora di pranzo e, dopo una breve sosta per mettere qualcosa nello stomaco, siamo pronti a ripartire. Mai scelta, seppur fatta senza cognizione di causa, fu più saggia: di lì a poco infatti la strada si impenna sotto le ruote per farci superare le terribili rampe di Cavoretto. Ecco, in questo frangente, le parole che dedichiamo a Fulvio* non sono propriamente benevole.

*Ma ti vogliamo bene lo stesso.

IL PEGGIO ALLE SPALLE

Incredibilmente smette di piovere. Quasi non ci sembra vero e, superata Torino, siamo pervasi da una spensierata sensazione di andare verso il bel tempo e che il peggio sia ormai alle spalle.

Con Andrea mi trovo bene. In alcuni frangenti il suo passo è un po’ troppo spedito per me, ma tra una pedalata e l’altra riusciamo comunque a parlare delle nostre passioni, delle nostre vite, di musica, di tutto. Non so bene da dove, ma probabilmente in una fase di bassa glicemia, elaboro una frase che credo rappresenti bene questa prova:

Alla fine mi sono reso conto che quante gambe hai, quanto sei allenato, conta ma fino a un certo punto. La differenza la fa quante crisi sarai disposto a superare prima di arrivare al traguardo“.

Resto fermamente convinto che queste prove di lunga distanza non si possano improvvisare. Vorrebbe dire altrimenti sottoporre il proprio corpo a uno sforzo disumano. Resto però oltremodo certo che le sole gambe, seppur preparate a dovere, da sole non ci portino all’arrivo. Serve la testa, la voglia, la passione, senza la quale, a un certo punto, non si va avanti. E’ un sottile e precario equilibrio tra crisi fisica e compensazione morale.

L’ultima salita, quella che ci porta al controllo di Cantavenna (Km 503) è decisamente più abbordabile rispetto a quella di Moncalieri. La percorriamo baciati da un insperato sole che sorprendentemente ci scalda le spalle. Per la prima volta, dopo oltre 30 ore, togliamo le mantelline.
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Negli ultimi chilometri, che si inoltrano nella pianura pavese, a causa di un vento fastidioso, la fatica viene a galla come olio in una pozzanghera, ma contemporaneamente, il fatto di riconoscere delle strade familiari, di sentire “l’aria di casa”, ci infonde nuove energie.
Il cartello Castano Primo è una delle visioni più belle, un sospiro di sollievo dopo tante fatiche. Scorgo all’orizzonte Claudia e Pluto e un sorriso dipinge il mio viso. Al traguardo ecco ancora una volta Fulvio, quasi in queste 34h e 37′ si fosse sdoppiato più volte. Mi viene il dubbio sia un “Mogwai” del film “Gremlins” che a contatto con l’acqua si moltiplica!200523_16

Lo ringrazio e lo saluto, convinto che appena saremo tutti al traguardo tirerà un profondo e meritato sospiro di sollievo.

Quello che mi ha spinto a non mollare e portare a termine questo 600, è la voglia di dedicarlo a Pio Dini, un randonneur che purtroppo ha visto infrangersi il suo sogno Parigino sull’asfalto, proprio in un 600. Dopo il mio incidente, rientrare sulla stessa distanza per dedicarlo a lui, mi sembrava un segno del destino. Come gli ho scritto: “Pio, Parigi ci aspetterà ancora tra quattro anni”.
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