Come può venire in mente a una persona ‘normale’ di pedalare più o meno ininterrottamente per 1520 km, superando 9 passi alpini e una serie infinita di salite e salitelle per oltre 20.000m di dislivello?
Onestamente non lo so, perché non mi sento una persona normale, nel senso di incasellabile negli schemi standard comuni, ma sono contento sia così.
Nonostante ciò, pensare di partecipare ad Alpi4000, è un azzardo anche per me, un salto nel vuoto, perché non solo non ho mai percorso un over 1000, men che meno un over 1000 extreme, ma non ho mai affrontato neanche una 600 e per dirla tutta, neanche una 400.
Però quel percorso, che passa da luoghi ai quali sono molto legato, sembra disegnato apposta per provarci e poi c’è quel sogno, forse impossibile, di tagliare il traguardo per dedicare la mia piccola impresa a una persona speciale.
Allora sognamolo e proviamoci, perché sognare non costa nulla e se non provi a realizzare qualcosa, hai una sola certezza: che sicuramente non accadrà.
E dire che tutto non inizia nel migliore di modi….
E’ sabato 21 luglio, sono circa le 8.30, quando, sotto un cielo sfatto di pioggia, mi accingo a muovere le prime pedalate da casa con l’intento di percorrere i 10km che mi separano da Assago. Da lì prendere la metropolitana, il treno, raggiungere Tirano e pedalare fino a Bormio, dove, il giorno seguente, partirà Alpi4000. Devo essere però a Bormio entro le 18.00 di sabato per la riunione informativa. Ho tutto il tempo che voglio, o almeno così credo.
Percorro giusto 700m prima che una copiosa grandinata si riversi sull’asfalto umido. Cambio di programma: giro la bici, la carico in auto e raggiungo così Assago, al ritmo del ticchettio dei chicchi ghiacciati sul parabrezza.
Ad Assago un qualche evento mondano mi fa rimanere in coda per circa un’ora, ma alla fine riesco a raggiungere la metro. Linea 2 guasta e tutto bloccato per circa 40’. Il treno delle 10.20 è ormai perso. Peccato che non ci sia quello delle 11.20, così attendo 2 ore in stazione che uso per studiare il roadbook del percorso e ripassare le tappe che ho in mente di percorrere. Salgo sul treno delle 12.20, che però all’orario prestabilito resta ferma dov’è. Treno guasto e tutti giù di nuovo. Non ci credo! Inizio a pensare che il destino mi stia dicendo a chiare lettere che Alpi4000 non fa per me, che sarà una grossa delusione. Riesco a partire col treno delle 13.20, che però arriverà a Tirano alle 15.50: per essere alle 18 alla riunione sarò tiratissimo coi tempi. Valuto l’opzione pullman, ma in una giornata dove tutto sembra voler andare storto, trovo un sorriso grazie a un ragazzo diretto anche lui in bici a Bormio. Il suo amico, che lo aspetta a Tirano, ha posto in macchina e quindi mi possono dare un passaggio. Finalmente una bella notizia! Raggiungiamo insieme il centro nevralgico della manifestazione e, con dispiacere, li perdo di vista prima di poterli ringraziare sentitamente.
Riesco così a prendere parte alla riunione, far punzonare la bici e firmare con emozione il pannello col mio numero: pettorale 435. E domani sarà Alpi4000.
Domenica 22 luglio. Tutto sembra calmo fuori dalla finestra. L’asfalto ancora umido dalla pioggia di ieri e la sensazione che ci sia oltre il vetro un freddo glaciale mi pervade le ossa, unito all’idea di dover salire subito sulle grandi montagne. In realtà non fa poi così freddo e, in pochi minuti, raggiungo Bormio sui pedali. Veniamo divisi in gruppi di 25 randagi, che partono a pochi minuti di distanza. Finisco nell’ultimo gruppo e, prima di partire, conosco Jean-Francois, francobelgaitaliano e Stefano. Mi ritroverò con loro per tutto il primo giorno. Il sole fa capolino finalmente, mentre ci alziamo sui pedali e la tensione si scioglie con le prime sgambate. Si parte subito in salita, perchè c’è da scalare il passo del Foscagno (2275m) e poi, in sequenza, Passo Eira (2203m), Forcola di Livigno (2315m) e Passo Bernina (2323m). Inizio tosto che sgrana bici e ciclisti. Sul Bernina ci attende il primo check point e ristoro, ma un esercito di cavallette fameliche sembra aver fatto razia di ogni cosa.
Ripartiamo dopo poco, finalmente in meritata discesa, che ci accompagna fino a St. Moritz. L’annoso vento contrario che solitamente funesta l’Engadina oggi, per la prima volta, non si fa vedere. Stefano, esperto ex surfista, mi spiega il motivo: “Tempo troppo freddo che non scalda la superficie della montagna e che non permette al vento di sollevarsi“. Raggiungiamo così Chiavenna senza troppe difficoltà. Altro check point, ristoro e via di nuovo. Tra saliscendi più o meno severi, lambiamo le sponde del lago di Como, di Lugano e infine del lago Maggiore. A Laveno terminano le nostre fatiche quotidiane, davanti al lago e a due piatti di pasta che divoro in sequenza e senza decoro. 256km pedalati, 11 ore e 30′ in sella e 3000m di dislivello. La notte, mi ritrovo in stanza con Stefano e Jean-Francois. Il giorno dopo le nostre strade si separeranno per poi ritrovarsi nel finale. Cose da rando.
La sveglia lunedì suona intorno alle 5, dopo poche ore di sonno. Il tempo di lavarci il viso, vestirci, mettere qualcosa sotto i denti e siamo in barca. Già perchè il percorso prevede di essere traghettati da Laveno a Intra, mentre il sole si leva alto nel cielo. A Intra possono iniziare le nostre fatiche quotidiane che prevedono di salutare dopo pochi km il lago Maggiore per accarezzare il lago d’Orta, tra un saliscendi e l’altro. La strada inzia a salire più costantemente verso il colle della Cremosina, ascesa alla quale sono particolarmente legato e che mi regala una prepotente emozione.
Il percorso continua ad alternare salite e discese fino a Biella, dove oltre al primo check point di giornata, mi attende anche il bag drop, così che possa recuperare un po’ di provviste dalla borsa. Jean-Francois e Stefano vogliono fermarsi un po’ di più a Biella e non contano di arrivare, come invece vorrei fare io, fino a Laslenbourg, così ci salutiamo senza problemi e ognuno per la sua strada.
Il caldo è torrido, il frinire delle cicale fa da sottofondo al mio incedere solitario, ma fino a Venaria Reale, alle porte di Torino, il percorso non presenta particolari difficoltà altimetriche. Al check point incontro Roberto e Hassan, amici bolognesi. Mi unisco al loro, e ripartiamo insieme verso la val di Susa. Resta da scalare il Moncenisio (2100m), mentre il sole comincia a rosseggiare nel cielo. Il percorso non prevede però di salire dalla strada classica, ma di prendere la deviazione per Novalesa. Sembra uno scherzo perché, oltre a essere terribilmente dura (alcune punte superano abbondantemente il 10%) fa salire fino a 1400m per poi riscendere ai 1200, ricollegarsi con la strada principale e risalire fino al passo. Roberto e Hassan alla fine optano per fare dei pezzi a piedi con la bici a mano, così mi avvantaggio un po’ fino a perderli di vista. E’ ormai buio e la stanchezza tambureggia nelle gambe e nello stomaco, ma l’immagine della luna piena che si specchia nel lago sul passo e i tanti lumicini ciondolanti degli altri randagi che salgono provati lungo la serpentina d’asfalto, è l’immagine forse più bella di tutta l’avventura. In cima fa freddo: una manciata di gradi al massimo, ma la discesa a Lanslenbourg si esaurisce in pochi minuti. E’ mezzanotte passata ormai. Una pasta per recuperare energie e un po’ di sonno (2 ore) sono quello che ci vogliono, quello che rimane. Attendo inutilmente Roberto e Hassan, che però a mia insaputa hanno desistito nell’ascesa passando la notte in un B&B poco distante dal passo. Totale km: 278, metri di dislivello quasi 4.000, ore in sella: 13h e 50′.
Mi faccio bastare gli scampoli di sonno e prima delle 6 sono di nuovo in sella con l’aria fresca del mattino a solleticarmi il viso. Comincio a perdere la cognizione del tempo e devo riflettere diversi minuti per comprendere che siamo a martedì. Nel frattempo l’asfalto ha già iniziato ad arrampicarsi sotto le ruote e continuerà a farlo per diverse ore, visto che mi trovo sulle pendici dell’Iseran (2770m) cima che risveglia in me piacevolissimi ricordi del mio giro nelle alpi di qualche anno fa. C’è poco vento in vetta e, mentre attendo il mio turno per la foto di rito, incontro Tommaso, di Bologna d’adozione, originario Veneto. Proseguiamo insieme perché il menù del giorno, dopo il gigante Iseran, prevede il Piccolo San Bernardo (2188m)… Piccolo si fa per dire! Ma anche questa volta gli organizzatori decidono di complicarci la vita e, anziché farci salire dalla strada classica di Seez che sale regolare e sinuosa, decidono di farci passare per la Rosiere, teatro anche nel recente Tour de France. La Rosiere è decisamente più impegnativa, con tratti che superano abbondantemente il 9%. Fortunatamente però, a quota 1800m d’altitudine, ci si ricongiunge con la strada “classica” del passo che è decisamente più abbordabile. Alternandoci in testa, io e Tommaso planiamo verso Aosta, ma a ostacolare la nostra marcia è il vento contrario che ci logora km dopo km e ci sfinisce. Nubi minacciose si materializzano all’orizzonte e non lasciano prevedere nulla di buono, come confermano le prime gocce di pioggia che seguono pochi minuti dopo. Decidiamo così di fermarci a mangiare qualcosa, sperando che nel frattempo il meteo si sistemi per poi valutare il da farsi. Spiove. Ripartiamo, ma dopo pochi km il temporale che credevamo di aver scampato ci investe di nuovo. Cerchiamo un riparo di fortuna. Decidiamo di comune accordo di proseguire fino a Settimo Vittore (TO) e lì cercare una sistemazione per la notte.
Ecco, se c’è una cosa che ho capito da questo genere di prove, è che non puoi fare calcoli o programmi troppo a lungo, ma devi basarti molto sulle sensazioni e sull’istinto del momento. Eccone la conferma: smette di piovere, una stellata unica si apre sopra le nostre teste e noi decidiamo così di proseguire fino a Biella, passando per il santuario di Oropa dal tracciolino, come prevede il percorso. Fino ad Andrate la strada sale decisa portandoci a circa 900m d’altitudine. Ne mancano circa 200 di salita per raggiungere Oropa, peccato che li percorriamo in oltre 20km conditi da un lungo tratto di sterrato. Ci manca solo di bucare nel bosco, di notte, mi ripeto. Fortunatamente va tutto bene e sfiniti, raggiungiamo il foglio firma al santuario di Oropa, avvolti dal silenzio e dal cielo stellato. Scendiamo veloci a Biella, ma anziché passare dal check point (che rimarrà aperto fino a domani) optiamo per andare diretti al B&B che abbiamo prenotato e regalarci almeno 3 ore di sonno. 252km sul taccuino di oggi, 4000m di dislivello, 15 ore e spicci in sella e una stanchezza da capogiro.
Ci svegliamo a fatica. Quasi ci sembra di non aver chiuso occhio. Personalmente non mi rendo conto se sono più stanco ora o ieri sera. Ma non c’è tempo per riflettere troppo perché il check point, ristoro e bag drop di Biella ci attende. Facciamo tutto abbastanza rapidamente, compreso il rigenerante cambio di divisa. Riparto con la nuova dei Cicloamatori Binasco. La giornata odierna non prevede salite, ma è un lunga e calda linea che solca la pianura padana in direzione est. Io e Tommaso, più altri 2 avventurieri, procediamo abbastanza spediti, ma improvvisamente il ginocchio destro comincia a darmi noia. L’iniziale fastidio, si fa rapidamente dolore, fino a costringermi a staccarmi dagli altri e procedere del mio passo, che non va oltre il 24km/h. Non posso però rischiare di compromettere anche il destino di Tommaso e gli altri, così dico loro di andare e io vedrò come va, pedalata dopo pedalata. Tommaso mi regala una bustina di antinfiammatorio: sarà la mia salvezza perché ora dopo ora il ginocchio va sempre peggio e la velocità raschia i 15km/h. Raggiungo Pavia alle 2 di pomeriggio, sotto un sole torrido e crudele. Non sono in grado di ripartire immediatamente perché oltre al ginocchio, anche la pancia e lo stomaco iniziano a darmi noia. Il fatto di essere a soli 15km da casa mi fa riflettere sul da farsi, ma l’antinfiammatorio di Tommaso inizia a fare effetto, il dolore al ginocchio viene meno e così decido di provare a ripartire. Sono le 17 passate e il caldo opprimente comincia ad allentare la sua presa. Ritrovo nuovamente Roberto e Hassan e nuovamente mi unisco a loro. E’ curioso come su un percorso di oltre 1.500 km le persone che mi trovo a incontrare, sono sempre le stesse. Pedaliamo insieme fino a Codogno, ma la necessità di fermarmi per qualche minuto mi costringe a salutarli nuovamente. E’ ormai sera e la fatica è tanta. Il sole scompare definitivamente alle mie spalle quando raggiungo Cremona, ma, con l’incedere della notte e del buio, sento il fisico rispondere meglio. Tengo un buon ritmo e intorno alle 23 raggiungo il check point di Piadena (CR) dove le sagome di Roberto e Hassan mi precedono di pochi istanti. Mangiamo insieme, mentre penso che nel mio programma personale avevo stabilito che oggi sarei arrivato sino al controllo successivo: quello di Pieve di Coriano, ma non ho sufficienti energie per proseguire e ho bisogno più che mai di qualche ora di risposo. Mi ritiro nella palestra di Piadena, dove mi attende una doccia, una comoda brandina che mi cullerà per qualche ora. 238 i km di oggi in 9 ore e 45′ passati in sella.
E’ ancora buio quando risalgo in sella. Le prime pedalate sono stanche, sfatte, scomposte. Sento gli occhi assottigliarsi, mentre il sole rosso si specchia nelle acque calme dell’Oglio. Il ginocchio mi da ancora noia, così come la pancia e lo stomaco. Vivo un alternarsi costante di crisi e riprese, quasi il mio fisico fosse in confusione quanto me. Costeggiando il Po, raggiungo Pieve di Coriano nel primo pomeriggio. Nonostante lo stato in cui mi trovo, sono deciso a ripartire e arrivare almeno a Mantova poi, da lì, valuterò. Le ultime 24 ore sono e saranno le più difficili, ma l’idea di abbandonare è l’ultima cosa che voglio prendere in considerazione. Fortunatamente il dolore al ginocchio si allevia e lo stomaco riprende a funzionare. Improvvisamente mi sembra di essere risorto! Non ho dubbi: proseguo e raggiungo il check point successivo di Valeggio sul Mincio, a pochi km dal lago di Garda. Purtroppo invece Tommaso mi comunica via cellulare che per lui Alpi4000 si è conclusa a Mantova. Riparto dopo un’ora di sosta e un fugace temporale scampato, ma il ginocchio riprende a darmi noia. Trovo una farmacia dove con una fascia e un antidolorifico, metto a tacere l’articolazione. Mi do l’obbiettivo di raggiungere Desenzano e da lì, poi, valutare il da farsi. Il fatto di avere bisogno di riposo mi fa propendere per cercare un B&B e dormire qualche ora, ma l’assenza finalmente di dolore fisico e il fresco della sera mi convincono a proseguire. Vado avanti fino a raggiungere il check point successivo, quello posto in cima agli 11km della salita di Tremosine. Il tempo di chiusura per il brevetto mondiale è fissato all’1.00. Riesco ad arrivare 10 minuti prima, sotto un cielo scuro come il petrolio. Recupero energie tuffandomi in un piatto di pasta, per poi ritirarmi qualche ora nel dormitorio posto accanto. Mi addormento in pochi respiri, dopo 257km pedalati, 1200m di dislivello e 14 ore in sella.
Non sono neanche le 6, mentre addento pane e marmellata e studio la strada. Sono terribilmente in ritardo sia sulla tabella mentale che mi ero fatto, sia sui tempi del brevetto mondiale (BRM), che mi dovrebbe vedere a Spormaggiore entro le 9.00. Impossibile, visto che ci sono di mezzo 90km, per buona parte in salita. Per altro, nonostante l’assenza di dolori, le prime pedalate non sono delle migliori. Mi lascio alle spalle l’azzurro lago di Molveno e raggiungo il check point intorno alle 13. 4 ore in ritardo sul BRM, ma ancora nei tempi del BRI (il brevetto nazionale che prevede tempi più ampi del BRM). Mi dico che non mi importa: sono comunque soddisfatto di essere ancora sulla strada, di aver dato e di stare dando tutto quello che ho. E pace se non riuscirò a rientrare nei tempi del BRM perché quando sono partito non sapevo neanche se sarei stato in grado di portare a termine una prova simile. Invece, nonostante i dolori, la fatica e il poco sonno; sono ancora qui a giocarmela, a sudare, a inseguire un sogno. Riparto e mi bastano pochi km per ritrovare una pedalata rotonda, decisa. Affronto il Passo Palade (1518m) di buona lena, così come il tratto successivo di fondo valle, dove ritrovo Jean-Francois. Mi fermo giusto mezz’ora per lasciar spiovere un improvviso e inatteso temporale e raggiungere il penultimo check point, quello di Silandro. Sono le 21 e il ritardo sul tempo BRM si è assottigliato a una sola ora. Tutti si muovono frettolosamente come formichine per partire il prima possibile e scongiurare i nuvoloni che aleggiano sulla cima del gigante di pietra. Contrariamente agli altri, decido di prendermela con calma: recuperare energie con un abbondante piatto di pasta e una fettona di torta e poi lanciarmi all’inseguimento di un’utopia. Faccio i conti: calcolo circa 4 ore per scalare lo Stelvio, però per arrivare a Prato allo Stelvio ho un pezzo di fondovalle da percorrere. Insomma a conti fatti mi ci vorranno circa 5 ore. Per rientrare nei tempi del BRM, devo essere al passo alle 3.00, quindi dovrei avviarmi intorno alle 22. Guardo l’orologio: 22.15. Mi preparo, mentre dei tuoni rimbombano da qualche parte tra il buio e il caschetto. Parto alle 22.17 e da subito ho una pedalata decisa. Prato allo Stelvio si materializza sotto le mie ruote in meno di un’ora, mentre i tuoni scompaiono nell’invisibile e una luna rossastra fa capolino nel cielo. Decido che non mi curerò del tempo che scorre d’ora in poi, delle gambe, del fisico, ma sono intento semplicemente a dare tutto quello che ho nell’anima e giocarmi tutte le carte. Inizia così la mia danza sui pedali, frullando come se non ci fosse un domani, recuperando svariati compagni di viaggio, e sfiorando quella bandana legata sul manubrio che mi fa rabbrividire il cuore. Di tanto in tanto guardo il cielo, cercando di non farmi sopraffare dall’emozione e dal respiro affannato. Una stella cadente taglia in due il buio e un desiderio vola via nell’infinito. Sento il sudore colare copioso sulle braccia e sulla schiena, ma tutto è avvolto dall’oscurità. Guardo la leggendaria serpentina, illuminata da flebili luci ondeggianti al ritmo dei loro cavalieri. A 4km dalla vetta mi fermo: il respiro è fuori controllo e mi gira la testa. Credo di essere salito troppo rapidamente. Guardo finalmente l’orologio: 1.40. Sorrido. Sorrido perché in quel momento capisco che non si tratta più di un sogno, ma di realtà. Sorrido perché capisco che quei 4 km restanti, posso farli con tutta la calma del mondo. Arrivo in vetta alle 2.35: rientrato nei tempi del BRM per soli 25′!
“Complimenti, sei un finisher!” E un brivido d’emozione si materializza nell’anima.
Mi siedo in un angolo della stanza, sorseggiando un tè caldo, ma fatico a realizzare di avercela fatta. Vorrei gridare, vorrei chiamare, ma siamo nel cuore della notte e non è il momento di interrompere i sogni. Un sorriso mi si stampa sul viso, mentre mi copro e scendo a Bormio, da dove l’avventura era partita poco più di 5 giorni fa.
L’ennesima pasta si materializza davanti a me, mentre il cielo si rischiara e altri avventurieri arrivano alla spicciolata, stanchi e soddisfatti di sé.
Guardo il brevetto che mi viene rilasciato: è tutto vero. Ce l’ho fatta! E’ stato un autentico tuffo nel buio, un portare all’estremo il mio corpo e la mia mente, è stato inseguire un sogno impossibile spronato dal desiderio di dedicarlo a qualcuno di speciale, ma i sogni rimangono sicuramente impossibili, solo se non provi a realizzarli.
Non mi resta che raggiungere Tirano, salire sul treno e tornare a casa, fiero come un guerriero vittorioso di ritorno dalla battaglia. Un pullman sbuffante mi attende in stazione, ma come potrei lasciare ora il mio destriero? Salto di nuovo sui pedali, driblo il pullman e mi avvio verso Tirano in sella alla mia bicicletta. Km: 283, dislivello: 4900m, ore in sella: 16 e 45′.
Qui la mia intervista a cura di Giovanni Battistuzzi pubblicata sul ilfoglio.it