Quello che spero di essermi definitivamente lasciato alle spalle, è stato un inverno eterno, freddo, buio e umido.
Non ho mai smesso di pedalare, ma è stata una lunghissima attesa. Attesa di sole, di caldo, di luce.
E’ stato l’inverno del “rimando”, come una sveglia che suona e che posponi di pochi minuti pur di non alzarti. Un lungo, impaziente, letargo.
E’ stato l’inverno dei “ricordi”: più volte mi sono ritrovato a fissare un vetro, sul quale colavano malinconiche gocce di pioggia, con la memoria al 2017. Il primo di marzo dello scorso anno ero a sudare sul muro di Sormano, sotto un sole che odorava già d’estate. Questo primo di marzo, invece, la pioggia cade copiosa, le temperature sono appena sopra lo 0° e le montagne sono cariche di neve candida.
L’ultima settimana di marzo cambia anche l’ora, quella che mi fa smettere di pedalare nel buio mentre torno dal lavoro e che ogni tanto mi fa dire “c’è ancora luce, quasi quasi allungo un po’ la strada…“.
Non posso e non voglio più attendere.
Sabato 24 marzo: il meteo sembra concedere finalmente un po’ di grazia, anche se il sole è ancora lontano e sbiadito, mentre nell’aria si sente il retrogusto pungente d’inverno. Non importa: si va.
Quasi a voler esorcizzare tutte le avversità, decido di montare in sella e raggiungere il Ghisallo: la mecca del ciclismo.
Parto da casa alle 9 e in poco più di un’ora mi lascio Rho e la periferia meneghina alle spalle. I paesi del comasco si susseguono senza sosta, uno dopo l’altro, mentre un’aria fredda, a volte frontale altre laterale, mi congela il viso.
Raggiungo Como dopo 65km e, come nelle giornate lavorative nelle quali attraverso Milano in bici, mi ritrovo impantanato in un groviglio di auto incolonnate disordinatamente nella discesa verso il lago. Con uno slalom raggiungo la città lariana e imbocco la SP583.
Il traffico si volatilizza e mi ritrovo finalmente spensierato a pedalare sulla sponda del lago. Le acque sono ancora scure e opache, rese severe da un inverno troppo lungo. L’azzurro brillante e vivo dovrà attendere tempi migliori. I continui saliscendi riescono a scaldarmi e raffreddarmi in sequenza, finchè non raggiungo Bellagio, ancora assopita e tristemente scarna di turisti.
Comincia la salita e riesco definitivamente a scaldarmi. Sento le gocce di sudore colare copiose sulla fronte e lungo la schiena, mentre la strada si inerpica nel suo tratto più duro al 14%.
Provato raggiungo la vetta, sorvegliata gelosamente dalle cime innevate e da qualche temerario avventuriero come me, conquistato dalle imprese epiche e dai tanti campioni del pedale che si respirano in questo luogo magico.
Un saluto veloce agli amici del museo del Ghisallo, prima di planare dolcemente verso Canzo.
Raggiungo la stazione di Erba, il contachilometri segna già 124km, possono bastare. Prendo il treno prima e la metropolitana poi, per riportarmi verso casa. Finita? No: mi restano altri 10km per spingere sui pedali, ripensando al Ghisallo e a una primavera, per ora, solo immaginata.