Distanza: 127 Km
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Lo ammetto: quando svegliandomi ho visto il sole filtrare dalle finestre mi sono sentito sollevato. Per oggi infatti era prevista pioggia e freddo. Il freddo è stato confermato, tanto da dover mettermi in marcia con paraorecchi, paracollo e mantellina. Ma dell’aria che mi ha tediato il giorno prima e soprattutto della pioggia, neanche l’ombra fortunatamente.
Sono salito sui pedali verso le 9.15 seguendo, da Caldonazzo a Primolano, la Ciclabile della Valsugana. Molto gentilmente, nell’hotel dove ho trascorso la notte, mi forniscono una mappa della ciclabile. In realtà non ce ne sarebbe bisogno, in quanto è sempre ben indicata. Pedalare immerso nel bosco, fianco a fianco col Brenta, lontano dal traffico, è davvero una bellissima sensazione che mette subito di buon umore. Lungo il tragitto si iniziano ad assaporare i colori e gli odori dell’autunno che sta ormai prendendo il sopravvento su quel che resta dell’estate.
La Ciclabile della Valsugana prosegue fino a Bassano del Grappa, ma io, giunto a Primolano, devio verso Feltre seguendo l’Anello Ciclabile del Grappa: si tratta soprattutto di strade a bassissimo traffico che passano attraverso prati e pascoli di mucche, capre, pecore e cavalli.
Dopo pranzo, inizia da Feltre (325m) la lenta, incostante, ma inesorabile salita (pedalabilissima) verso Belluno e che si prolunga poi fino a Ponte Nelle Alpi (400m). Oltrepasso il Piave, dove trovo le prime indicazioni per Longarone. Guardo il fiume e il pensiero che durante l’inondazione, la piena sia arrivata sino qui e oltre, mi fa tremare i polsi.
Arrivato a Longarore scorgo la diga sulla mia destra. Mi porto in centro al paese, accanto al comune e alle poste. Guardo quell’enorme “V” oltre la quale si vede solo un pezzo della diga. Mi immagino un’onda enorme arrivare. Mi chiedo come deve essere, per chi l’ha vissuta, svegliarsi ogni mattina e rivedere quell’incubo. Vengo distratto da dei ragazzi che ridono tra di loro e capisco che forse, per loro che l’hanno solo sentita raccontare come me, non è la stessa cosa. O forse, semplicemente, nella vita bisogna sempre guardare avanti, anche se quello che hai davanti è il tuo peggior incubo.
Risalgo in sella e inizio la salita verso l’invaso, che nel frattempo scompare dalla vista. Non è una salita dura. Sull’asfalto noto le scritte ormai sbiadite del passaggio dello scorso Giro d’Italia. Dopo circa 3.5 Km la strada spiana e, sorpassata una galleria a senso alternato, eccomi al cospetto di quell’enorme parete di cemento. Da un lato non si scorge la fine, dall’altro è semi riempita da un pezzo del monte Toc che è franato dentro provocando quell’onda enorme. Un’infinità di fazzoletti colorati ricordano i bambini che hanno perso la loro giovane vita.
Non voglio soffermarmi troppo sulla descrizione di quei luoghi, perchè non credo sarei in grado di scrivere quelle emozioni. Emozioni fortissime, che solo andando lì e vedendo si posso provare e, forse, capire.
La strada riprende a salire. Degli alpinisti si allenano scalando la parete accanto alla diga, mentre l’ultimo sole di giornata illumina le case più alte di Erto e le montagne alle loro spalle.
Finisce qui il mio viaggio, l’ultimo del 2013, ma quello al quale tenevo di più. A Erto cerco di scorgere la sagoma di Mauro Corona tra le case, ma il destino non ci ha fatti incontrare.
“La resina è il prodotto di un dolore, una lacrima che cola dall’albero ferito.
Quelle gocce giallo miele, non scappano, non scivolano via come l’acqua, non abbandonano l’albero. Rimangono incollate al tronco, per tenergli compagnia, per aiutarlo a resistere, a crescere ancora. I ricordi sono gocce di resina che sgorgano dalle ferite della vita. Anche quelli belli diventano punture. Perchè, col tempo, si fanno tristi, sono irrimediabilmente già stati, passati, perduti per sempre.
Gocce di resina sono piccoli episodi, aneddoti minimi, spintoni che hanno contribuito a tenermi sul sentiero.
Proprio perchè indelebili sono rimasti attaccati al tronco.
Come fili di resina emanano profumi, sapori, nostalgie.
Tutto quello che ci è accaduto, o che abbiamo udito raccontare ha lasciato un segno dentro di noi, un insegnamento, o, quantomeno, ci ha fatto riflettere.
La vita, nel bene e nel male, è maestra per tutti”. (Mauro Corona)