Dopo una settimana di lavoro che sembrava non voler più finire, arriva finalmente il sabato, giorno prediletto per le mie avventure a due ruote.
Questa volta i miei desideri di fatica, salita, conquista e passione, mi portano un po’ fuori mano rispetto al solito, ma allo stesso tempo mi pongono davanti a uno dei giganti delle Alpi.
Caricata la bici in auto, mi metto in marcia qualche minuto dopo le 7. Nonostante l’ora, l’autostrada è già popolata da auto in rotta verso le coste liguri vista la splendida giornata di sole. Io saluto tutti a Tortona, prendendo la diramazione verso Asti.
Dopo aver sbagliato strada almeno un paio di volte, giungo a destinazione che sono ormai le 10.
Parcheggio l’auto poco prima di Venasca (550mslm, 52km dal passo) e mi avvio in sella verso il mio “nemico” di giornata: il Colle dell’Agnello, terzo valico alpino dopo Iseran e Stelvio.
Da Venasca a Sampeyre è un lunghissimo falsopiano di circa 20km che solca la Val Varaita, senza pendenze impegnative. Odio questi tratti perchè non so regolarmi. Mi impongo di non strafare e così ogni volta che mi rendo conto di aumentare l’andatura, tiro le briglie, svagandomi sul bel panorama circostante. Fa caldo e l’acqua nelle borracce va via che è un piacere. Fortunatamente, più o meno in tutti i centri abitati che incontro, trovo delle fontanelle che mi permettono di mantenere le scorte sotto controllo.
I primi strappi impegnativi, li incontro poco prima di Casteldelfino. 4 tornanti al 7/8%. Subito dopo il paese, seguendo le indicazioni per Pontechianale (qui si trova l’ultima fontana che ho visto), inizia un nuovo tratto abbastanza arduo.
Non ho belle sensazioni: improvvisamente mi sento in affanno e sono costretto ad addolcire il cambio, ma tutto sembra passare immediatamente.
La strada si apre sul bel bacino artificiale, dove alcuni temerari fanno windsurf. Le pendenze spianano per un paio di chilometri e a me pare di essermi completamente ripreso.
A Chianale mi rendo conto di aver ormai percorso più di 40km e di essere massato dai 550m di Venasca ai 1800m. Scorgo la vecchia dogana Italo-Francese ormai in disuso, ma che segna l’inizio del pezzo più impegnativo dell’ascesa.
Il panorama è splendido, funestato solo dalla miriade di moscerini che mi perseguitano senza sosta. Il fiato, oltre a essere mozzato dal panorama, è messo a dura prova anche dalla salita che non scende e non scenderà più sotto il 10%. Dei cartelli segnalano la distanza dal passo e le pendenze dei vari tratti, ma forse è meglio non leggerli. 10, 11, 14% sono i numeri più gettonati.
L’ombra è un miraggio, in quanto l’ambiente si fa splendidamente brullo e selvaggio. Sarà forse la lunghezza dell’ascesa, o forse la pendenza, ma la scalata mi ricorda terribilmente l’ascesa al Passo Pennes, fatta eccezione per la miriade di gallerie che si trovano nel primo tratto di quest’ultimo, a differenza dell’Agnello dove non ve ne sono.
Assorto dai miei pensieri e fantasticherie, maledicendo moscerini e osservando mucche al pascolo, mi lascio alle spalle i primi 5 terribili km.
Improvvisamente però, a 4,5km dal passo, la luce si spegne: mi sento completamente svuotato di ogni energia. Capisco probabilmente di aver spinto troppo nel primo tratto, di non aver bevuto abbastanza, o di non essere nella mia giornata migliore. Cerco di raccogliere le energie, ma non ne trovo dentro di me. Sono un serbatoio vuoto.
I pantaloncini neri sono ormai rigati di bianco per i sali minerali persi.
Penso di mollare, di girare la bici e tornare indietro. Non ce la faccio a continuare.
Rimango immobile, chino sul manubrio per qualche minuto. Provo a dissetarmi e mi rendo conto di essere rimasto con due sorsate d’acqua nell’ultima borraccia.
Mi convinco a provarci: mi ripeto di andare avanti pian piano e di vedere quanto resisto ancora. Visto l’esigua scorta di liquidi, mi dico di non bere sino ai 2km dal passo, se dovessi arrivarci.
Barcollante vado avanti, nella testa non ho pensieri, sento solo dolore fisico e morale. Mi piego sul manubrio e continuo a testa bassa seminando gocce di sudore sull’asfalto indifferente. I ciclisti che incontro, comprendendo le mie difficoltà, mi spronano ad andare avanti. Non so bene come, ma arrivo a 1km dalla vetta e allora mi dico che non posso più mollare.
Vedo ormai il cartello del Passo, ma le ultime due rampe mi sembrano infinite. Non sono convinto di farcela fino a 200m dal traguardo.
Giunto in vetta, ai 2744m del Colle, non riesco a gioire, ma ho solo la forza di chinarmi sul manubrio e chiudere gli occhi. E’ una delle mie giornate peggiori e sono certo non la dimenticherò facilmente.
Pian piano mi riprendo e allora c’è spazio per le foto sul confine tra Italia e Francia e per gustarmi il bel panorama prima di gettarmi in discesa lungo la strada percorsa poco prima in salita.
Nella picchiata che mi riporta a Pontechianale, mi rendo conto davvero di quanto salisse la strada.
Riesco finalmente a riempire le borracce e dissetarmi finendone subito una.
Passato di nuovo il laghetto artificiale, inizia la lunga e leggera discesa/falsopiano che mi riporta a Venasca, dopo 104km percorsi.
Mentre mi avvio verso casa, che raggiungerò verso le 20, mi sento finalmente fiero, non tanto per la scalata, quanto per non aver mollato ed essermi spinto oltre le difficoltà. Sorrido finalmente, in barba alla giornata storta e difficile. Ripensando al Silenzio degli Innocenti mi dico: “Bene, Ivan, l’Agnello ha smesso di gridare”.
Qualche consiglio che mi sento di dare a chi volesse affrontare l’ascesa: da Venasca a Pontechianale c’è la possibilità di lasciare l’auto in ogni paese, valutate voi secondo quelle che sono le vostre distanze e energie. Tenete presente che prima si lascia l’auto, prima inizia l’ascesa. La salita dura inizia alla dogana di Pontechianale, ma non sottovalutate affatto la parte prima che, se presa con troppo fervore, rischia di lasciarvi senza energie nel finale. Ah, tenetevi buone scorte d’acqua perchè la strada è tutta al sole!
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