Per raccontare questa pagina della mia vita, che coincide sostanzialmente con il mese di ottobre, devo necessariamente fare una serie di balzi indietro nel tempo, utili per capire cosa mi ha condotto a quella che i più considerano una pazzia. Mettetevi comodi.
E’ febbraio, fa ancora freddo e Enzo, un caro amico, sta per partire per il suo viaggio in bicicletta in Patagonia. Il viaggio di una vita. Ci troviamo in Veneto tra amici, per augurargli buon viaggio.
Perchè in Veneto? Perchè dall’unione di Alpenround e della Società Ciclistica Lupatotina, è appena nato Luparound: un progetto benefico per combattere l’Atassia-teleangectasia. Una malattia quasi impronunciabile. Una malattia degenartiva nervosa, molto rara, che non ha una cura.
Ci si iscrive versando una quota che viene donata e si partecipa scalando le 50 salite in elenco nell’arco di tempo che va da inizio marzo a fine ottobre. Non è obbligatorio scalarle tutte e non importa neanche quanto tempo uno ci impiega a arrivare in cima. Non importa se ci si ferma, non importa se si è lenti. L’importante è arrivare in vetta. Ogni salita conquistata vale 1 punto.
Quella sera conosco Danny, un bambino affetto da quella terribile malattia.
“Voglio scalare lo Stelvio“.
Così disse quella sera.
Guardai i suoi occhi vispi e scuri e giurai a me stesso che avrei provato a scalarle tutte e 50 per dedicargliele. Perchè, mi ripeto, lui desidera tanto scalare lo Stelvio e forse non potrà mai farlo; ma se io che posso farlo almeno non ci provo… Beh non mi sembra giusto.
Marzo arriva veloce portandosi dietro un anticipo di primavera e dando il via a Luparound. Il primo di marzo prendo un giorno di ferie dal lavoro, salto sul treno, arrivo a Como e scalo il Muro di Sormano. Scelgo la salita con la pendenza media più dura per ribattezzarlo “Il muro di Danny“.
Più o meno ogni week end di primavera lo passo prendendo un treno di prima mattina, affrontando una o più delle 50 salite e rincasando soddisfatto la sera. Arrivo a quota 34.
Nel frattempo arriva anche giugno e con lui il momento di partire con il mio #WestCape che mi tiene per un mese buono in giro per l’Europa a cavallo della mia bicicletta.
Non mi preoccupo: so che avrò tutto il tempo di terminare le 16 salite restanti. Ho già programmato tutto.
Rientro a casa che è ormai luglio, che è ormai estate, che è ormai tempo di vacanze e mentre Milano pian piano si svuota io riprendo con le salite. Ne scalo altre 6 e arrivo a quota 40.
La mattina di sabato 5 agosto mi alzo presto. Valuto l’idea di prendere il treno e andare in Valtellina. Fuori è ancora buio, sorseggio il caffè mentre guardo le previsioni meteo che preannunciano pioggia su Sondrio e dintorni.
Poco male mi dico: rimando ai week end successivi e opto per un giro vicino a casa.
E’ quasi mezzogiorno, le mie ruote corrono spensierate su una strada quasi deserta della campagna pavese, quando un furgone mi sperona facendomi cadere. Picchio la testa, perdo i sensi e, almeno inizialmente, non ricordo cosa mi sia successo.
A sirene spiegate arrivo al pronto soccorso. Visite, lastre, ecografie. Ho la testa dura e a parte il buio assoluto sull’incidente, causato dal fatto di aver picchiato la tempia al suolo (fortunatamente col caschetto), non ci sono grosse conseguenze al capo. Purtroppo però, riporto una frattura composta a un osso del bacino che mi costringe a stare immobile a letto. Forse dovranno operarmi, ancora non si sa, ma in ogni caso i tempi sono lunghi: 3 mesi in caso di terapia conservativa, 2 abbondanti dall’intervento in caso di operazione.
Sento come se un treno mi fosse appena entrato nello stomaco, ma contemporaneamente mi ripeto che devo reagire.
Dopo 15 giorni fermo a letto e svariati consulti, si opta per l’operazione. Vengo trasferito di ospedale e finisco sotto i ferri. Torno a casa alla fine di agosto con due viti nell’anca, diciassette punti e due stampelle che mi faranno compagnia fino alla fine di ottobre.
Mi dico che sarebbe bello risalire in bici per il mio compleanno, a novembre.
Finiscono le vacanze e riprendono le scuole, mentre le mie giornate sono scandite da fisioterapia e vani tentativi di sollevare la gamba destra che sembra non volerne sapere.
E’ il 10 settembre, sono sdraiato a letto a sudare quattro camicie per alzare la gamba di soli 10 dannati centimetri. In quel momento mi arriva un messaggio, di Danny. Mi da una carica enorme, stringo i denti e continuo con gli esercizi. Gli dico che avrei voluto dedicargli le 50 salite, ma dovrà accontentarsi delle 40 che ho conquistato perchè non riuscirò a completarle entro la fine di ottobre.
Giorno dopo giorno però sento la gamba muoversi un po’ di più. Piccoli movimenti che il giorno prima non mi riuscivano, si tramutano in grandi conquiste. Quando riesco a sollevarla di 45° capisco di essere sulla buona strada. Nel frattempo, in seguito all’enesima lastra e visita di controllo, mi tolgono i punti, mi danno l’ok per eliminare una stampella e rientrare a lavoro dal 2 di ottobre.
Sono seduto sulla sedia con un libro in mano, guardo le gambe: la destra è di 1cm e mezzo più stretta della sinistra. Ho sete. Mi alzo. Solo quando arrivo al mobile della cucina, mi rendo conto di averlo fatto senza stampelle, senza pensarci. Inizialmente mi prende il panico: “Come farò a tornare indietro ora?“. Poi mi dico che se sono arrivato lì senza aiuto, potrò anche tornare. Lo faccio. Mi siedo. Guardo dalla finestra e nel cielo un sogno prende forma.
Arriviamo così a questo incredibile ottobre, anzi per essere precisi al 30 settembre.
Le foglie cominciano a colorarsi d’autunno, mentre, senza dire niente a nessuno, esco in macchina alle prime luci del sabato. Stampella sul sedile posteriore e bici sul tetto. Risalgo in sella quel giorno: 48km dopo i quali sono sfinito. Parto da Bagolino, salgo sino ai 1892m del Passo Crocedomini e riscendo. Avrei voluto scalare anche il Maniva, ma non ne ho più. Sono contento però, sorridente e sfinito, con una salita in più che mi porta a quota 41.
Il 2 ottobre rientro al lavoro. Il 3 ci vado in bici.
Il 7 mi alzo presto, alle 4 e scompaio nell’ultimo buio di una notte ormai agli sgoccioli. L’autunno sembra essere ancora in vacanza regalandomi un ricordo d’estate che prendo come un segno del destino. Quel giorno scalo il Passo Sella (2240m), il Gardena (2137m) e il Valparola (2192m). Sull’ultima ascesa barcollo. Una macchina mi affianca, abbassa il finestrino:
“Tutto bene?“.
“Si, sono solo stanco, ma pian piano arrivo in cima“.
Il giorno seguente è la volta del Passo Fedaia (2057m), passando dallo splendido canyon di Serrai come mi aveva consigliato anni fa l’amico Alessandro. Ho ancora nelle gambe le salite del giorno prima e faccio una fatica enorme. Nel tratto più duro salgo a una media di 13′ al km. A piedi forse ci avrei messo di meno, ma non mollo e arrivo al Passo.
Il 14 ottobre macchina e stampella rimangono finalmente a casa. La bici invece viene con me sul treno. Scalo il Mortirolo (1852m) dal terribile versante di Mazzo di Valtellina.
Raggiungo Bormio e il giorno seguente è la volta dello Stelvio, il mio Stelvio, quello che mi ha segnato per sempre la vita. Sono incredulo e commosso quando arrivo in cima, sotto uno splendido sole che mi accarezza la pelle. Alle 12.30 sono di nuovo a Bormio. Parto per il Gavia, conscio che non ho tenuta, conscio che farò una fatica assurda.
Dopo Santa Caterina di Valfurva il passo è già chiuso. Faccio il limbo sotto la sbarra con gran gioia della mia anca e proseguo. Gli ultimi 7km sono un calvario. Mi fermo tra le 20 e le 25 volte nella mia personalissima via crucis. 3 soste negli ultimi 500m, praticamente piatti, ma non ne ho più. Arrancando arrivo in cima.
Il 21 ottobre è l’ora dell’ultima spedizione: quella che mi porta a scalare Tremosine (618m) passando per la splendida strada della Forra scavata nella roccia e il Passo Maniva (1664m) che avevo lasciato indietro il giorno del Crocedomini.
Arrivo così a 50 salite, proprio sul filo di lana, ma appena in tempo per dedicarle a Danny.
10 Passi scalati a ottobre, per tornare a camminare, per realizzare un sogno che sembrava impossibile. Ma i sogni rimangono impossibili solo se non provi a realizzarli. Ho scalato le 10 salite che mi mancavano in silenzio, in segreto, senza che nessuno sapesse niente (a parte 2 amici che mi hanno capito e che non ringrazierò mai abbastanza) perchè non avevo alcuna voglia di sentirmi dire che stavo sbagliando, che ero incosciente, che ero matto, che rischiavo, che bla bla bla… Dentro di me sapevo una sola cosa: che stavo facendo la cosa giusta. Oggi ne sono più che mai convinto.